Oltre 200 ricorrenti per la prima volta citano in giudizio lo Stato italiano per l’assenza di politiche ambientali efficaci nel contrasto al cambiamento climatico.
La causa legale, promossa nell’ambito della campagna Giudizio Universale, si inserisce tra i contenziosi climatici promossi dalla società civile in oltre 40 paesi di tutto il mondo.
I ricorrenti sono assistiti da un team legale composto da avvocati e docenti universitari, fondatori della rete di giuristi Legalità per il clima. A patrocinare la causa l’Avv. Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali e l’Avv. Raffaele Cesari, esperto di Diritto civile dell’ambiente, assieme al Prof. Michele Carducci, dell’Università del Salento, esperto di Diritto climatico.
La causa è avviata di fronte al Tribunale Civile di Roma nei confronti dello Stato, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dei 203 ricorrenti della causa, 24 sono associazioni, 17 minori – rappresentati in giudizio dai genitori e 162 adulti.
Gli obiettivi della causa
L’obiettivo generale è quello di chiedere al Tribunale di dichiarare che lo Stato italiano è responsabile delle inadempienze nella lotta all’emergenza climatica .
La seconda richiesta è condannare lo Stato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto al livello del 1990, applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate (Fair Share), ossia tenendo conto delle responsabilità storiche dell’Italia nelle emissioni di gas serra e delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie.
I diritti lesi
Il nesso tra emergenza climatica, diritti umani e tutela giudiziale, dimostrato in altri precedenti giudiziari, ormai è incontestabile. Gli impatti climatici infatti coinvolgono il diritto alla vita, all’acqua, al cibo, alla salute, ambiente salubre, a un’abitazione adeguata e alla proprietà, all’autodeterminazione nell’usufruire delle risorse naturali, presenti e future, alla sopravvivenza negli standard di vita e nello sviluppo umano.
Di conseguenza lo Stato italiano è tenuto a tutelare il diritto umano al clima stabile e sicuro, per le presenti e future generazioni. Al fine di tutelare il godimento effettivo di questo diritto, gli Stati sono tenuti a provvedere a rimuovere la situazione di emergenza climatica in corso, per salvaguardare per sempre e nel tempo la funzionalità del sistema climatico e custodirne la stabilità termodinamica, puntando coraggiosamente alla mitigazione.
I dati scientifici
Le richieste dei ricorrenti sono naturalmente sostenute da dati scientifici.
Secondo il report redatto da Climate Analytics, ci si attende che le emissioni al 2030 siano del 26% inferiori rispetto ai livelli del 1990. Stando a queste proiezioni il governo italiano non riuscirà a raggiungere il modesto obiettivo di ottenere una riduzione del 36% entro il 2030 come stimato dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima .
Nonostante l’Italia stia puntando a una quota del 30% di energia rinnovabile nel consumo finale lordo di energia entro il 2030, non ha attualmente le politiche in atto per raggiungere questo obiettivo.
Per sostenere la causa del secolo, potete visitare www.giudiziouniversale.org
Le udienze
Il 21 giugno, presso il tribunale di Roma, si è tenuta la seconda udienza dell’azione legale climatica. Gli attori, per voce degli avvocati Luca
Saltalamacchia e Michele Carducci, hanno potuto esporre i punti salienti delle ragioni dell’azione e confutare le eccezioni sollevate dallo Stato. I ricorrenti basano le loro istanze su un’ampia documentazione scientifica prodotta, tra gli altri, dal centro studi di massima autorevolezza internazionale Climate Analytics. Sulla base delle evidenze presentate, le misure adottate dallo Stato per contrastare l’emergenza climatica risultano del tutto inadeguate. DI conseguenza, gli attori hanno chiesto alla giudice di valutare la condotta dello Stato alla luce delle evidenze presentate o eventualmente nominando un esperto.
La posizione dello Stato, per contro, è quella di sottrarsi al giudizio rivendicando addirittura l’immunità delle proprie scelte, ovvero l’impossibilità di giudicarne le condotte.
Dopo un’ampia discussione la giudice si è riservata di adottare i provvedimenti opportuni.
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