Era l’8 agosto 1991 quando la nave Vlora di ritorno da Cuba, nel porto di Durazzo venne assalita da 20 mila albanesi che costrinsero il comandante Halim Milaqi a salpare per l’Italia.
Quest’ultimo la mattina dell’8 agosto chiese alle autorità italiane di salpare a Brindisi, ma il Prefetto lo convinse a dirigersi verso Bari.
L’ingresso al porto non fu facile. Il comandante forzò il bloccò e la nave attraccò al molo Carboni, un pò distante dalla città di Bari.
Durante l’operazione molte persone si gettarono in mare, altri fuggirono e alcuni furono tenuti sul molo e reimbarcati sui traghetti sull’Albania.
L’allora sindaco di Bari, Enrico Dalfino, si oppose all’idea dello “stadio lager”, ma il governo aveva deciso già tutto.
Le sistemazioni e l’indignazione di Don Tonino
I migranti furono sistemati nello stadio della Vittoria, definito da li a poco dal quotidiano il Manifesto “stadio lager”. Il 10 agosto don Tonino Bello giunse prima al porto e poi allo stadio di Bari, dove rimase indignato e sconvolto sulle condizioni in cui versavano i migranti. Non trovò un medico o un responsabile della protezione civile.
Ritornò a Molfetta e scrisse al quotidiano Avvenire: “ Le persone – si legge nel suo pezzo vibrante – non possono essere trattate come bestie, prive di assistenza, lasciate nel tanfo delle feci, mantenute a dieta con i panini lanciati a distanza, come allo zoo, senza il minimo di decenza in quel carnaio greve di vomiti e di sudore ; forse come credenti avremmo dovuto levare più forte la nostra condanna ed esprimere con maggiore vigore la nostra indignazione. Sono sconfitti e umiliati gli albanesi; sconfitti e umiliati anche noi, perché costretti a sperimentare ancora una volta come la nostra civiltà, che nella sbornia di retorica si proclama multirazziale, multietnica e multireligiosa, non sa ancora dare quelle accoglienze che hanno sapore di umanità…“.
Domenica 11 agosto 1991 allo stadio scoppiò la guerriglia. Furono tre giorni violenti dove rimasero feriti 40 poliziotti e un numero imprecisato di manifestanti. I migranti furono sfamati e dissetati con i sacchi lanciati dagli elicotteri. I testimoni raccontarono scene da apocalisse.
Operazione di rimpatrio
Il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, dettò da Roma questa dichiarazione: “Non siamo assolutamente in condizione di accogliere gli albanesi che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d’accordo con noi che debbono essere rinviati nella loro nazione”.
Venne organizzata una delle più importanti azioni di rimpatrio. Vi parteciparono 11 aerei militari C130 e G222, assieme a tre Super80 di Alitalia. Ci furono 17 mila 400 rimpatri. In Italia rimasero 1.500, che avevano fatto domanda di asilo politico. Gianni De Michelis, ministro degli Esteri, giunse a Tirana per illustrare un piano di aiuti italiani. In Parlamento non mancarono polemiche sulle modalità di questa operazione. Come scrive il Messaggero in un articolo del 2011, i parlamentari del Pds (oggi Pd) pur condividendo la scelta di rinviare i profughi in Albania, denunciarono comunque una violazione dei diritti umani.
Sbarco nave Vlora, Enrico Dalfino: il sindaco di Bari che si oppose allo “stadio lager”
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Photo credits: Albania News