Caso Regeni, chiuse le indagini: quattro 007 egiziani a processo

La Procura di Roma ha chiuso le indagini sul caso Regeni, il ricercatore trovato ucciso al Cairo nel febbraio del 2016.
A conclusione sono stati emessi quattro avvisi di garanzia nei confronti degli agenti dei servizi segreti egiziani. Le accuse sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e concorso in omicidio aggravato.

E’ stata chiesta l’archiviazione per il quinto agente per insufficienza di elementi necessari a sostenere l’accusa in giudizio. Mentre le altre 13 persone  “sono nel circuito degli indagati ma la mancata risposta ai nostri quesiti da parte delle autorità egiziane ci ha impedito di proseguire negli accertamenti“- ha aggiunto il pm Colaiocco. 

Abbiamo fatto di tutto per accertare ogni responsabilità: lo dovevamo a Giulio e all’essere Magistrati di questa Repubblica” – ha dichiarato il procuratore capo, Michele Prestipino, in audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

Il processo sarà uno e si svolgerà in Italia con le garanzie dei codici. E avrà come centro l’impianto probatorio che la Procura di Roma ha raccolto e messo in piedi.

La  ricostruzione dei Pm italiani sugli ultimi giorni del ricercatore

Secondo i pm italiani Giulio Regeni è stato torturato e  ucciso, dopo che è stato segnalato come spia alla National Security egiziana, dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah.

Nell’atto di chiusura delle indagini, i Pm parlano di violenze perpetrate per motivi  “abietti e futili e con crudeltà” che hanno causato la perdita permanente di più organi. La descrizione dei traumi lasciano trasparire tutta l’efferatezza con cui è stato torturato e ucciso Giulio Regeni.

Inoltre,  si legge che il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif,  “al fine di occultare la commissione dei delitti suindicati, abusando dei suoi poteri di pubblico ufficiale egiziano, con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva, esercitata sui vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte”.

Il racconto di uno dei testimoni

Il teste in questione che lavora da 15 anni nella sede della National Security, ha raccontato di aver visto Giulio Regeni il 28 e 29 gennaio nella sede dei servizi segreti egiziani, mezzo nudo, sdraiato, ammanettato e sul corpo presentava segni di tortura. Dopo qualche giorno lo avrebbe riconosciuto attraverso dei giornali.

Le dichiarazioni dei genitori di Giulio

La madre Paola ha chiesto al Governo il ritiro  dell’ambasciatore dal Cairo, per la scarsa collaborazione delle autorità egiziane che in questi anni hanno cercato di depistare le indagini. Il padre ha aggiunto che la ricerca della verità per Giulio è stata messa sempre in secondo piano per favorire i rapporti tra l’Italia e l’Egitto nel campo economico, finanziario e militare con la vendita delle fregate.

Inoltre, la famiglia ha chiesto che venga fatta luce sulle responsabilità italiane, in particolare ci si chiede cosa è successo nei palazzi italiani dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016.

Nonostante i vari punti grigi ancora da chiarire, Paola Deffendi, si definisce soddisfatta di questo primo passo nella ricerca della verità: “Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi. Oggi è una tappa importante per la democrazia italiana e per l’Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civilità per i diritti umani, è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riverbera in tutto il mondo come vengono violati i diritti umani in Egitto ogni giorno. Chiediamo rispetto per Giulio e la sua figura. No libri, film o canzoni che pretendano di raccontarlo. Solo noi possiamo farlo, nessuno pensi di cannibalizzare la sua figura”.

AGGIORNAMENTO 31 dicembre 2021

La Procura egiziana in in comunicato ha dichiarato che la Procura di Roma ha condotto “le indagini in maniera scorretta, basate su false conclusioni illogiche e contraria tutti i fondamenti giuridici internazionali e ai principi del diritto che necessitano la presenza di prove certe nei confronti dei sospettati”.

Il comunicato della Procura egiziano è l’ennesima dimostrazione dell’indisponibilità  a collaborare con le autorità italiane per la ricerca della verità.

 

 

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