Dopo le manifestazioni degli studenti, le manganellate e le cariche delle forze dell’ordine, si torna a parlare di numeri identificativi per gli agenti impegnati nell’ordine pubblico. Si tratta di codici alfanumerici che servirebbero a scoraggiare comportamemti che violerebbero i diritti umani, come è avvenuto nei fatti di Genova.
Per Amnesty International Italia il fatto che i singoli agenti e funzionari siano identificabili è un messaggio di trasparenza che mostrerebbe la volontà delle forze di polizia di rispondere delle proprie azioni e allo stesso tempo accrescerebbe la fiducia dei cittadini.
L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non aver adottato i codici identificati. Da circa due anni, nei cassetti della commissione Affari Costituzionali sono conservati ben cinque proposte di legge.
Mentre per il ministro degli Interni Luciana Lamorgese sono sufficienti le telecamere sui caschi dei poliziotti e carabinieri per documentare le azioni di ordine pubblico.
La risoluzione del Parlamento europeo
Nel 2012 il Parlamento europeo emanò una risoluzione nell’ambito della situazione dei diritti umani in Europa. In quell’occasione il Parlamento europeo espresse preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante gli eventi pubblici e manifestazioni. A tal proposito invitò gli stati membri a prendere provvedimenti affinchè le forze di polizia si dotassero di codici identificativi.
Nel 2016 anche il Consiglio ONU sui diritti umani delle nazioni si espresse affinchè gli Stati provvedessero ad arginare e a prevenire episodii di abusi e violenze durante le manifestazioni.
La situazione in Europa
Nei paesi membri dell’UE, l’identificazione degli agenti che si occupano di ordine pubblico è una regola ben diffusa.
Su 27 Paesi membri, 20 Stati hanno introdotto i codici identificativi sulle divise dei singoli ufficiali e si tratta di: Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna.
La Germania le prevede in nove regioni su 16 mentre in Ungheria e in Svezia, pur non essendo previsto un obbligo, gli agenti di polizia espongono nome, carta d’identità e grado sull’uniforme e un codice quando indossano equipaggiamento speciale.
La petizione di Amnesty International Italia
Lo scorso 26 gennaio una delegazione di Amnesty International Italia ha consegnato al Prefetto Lamberto Giannini oltre 155.000 firme raccolte, in calce alla petizione che chiede l’introduzione di una legge sui codici identificativi per le forze di polizia impegnate in operazioni di ordine pubblico. Alla consegna c’era Paolo Scaroni, un tifoso del Brescia che rimase vittima di una violenta aggressione delle forze di polizia mentre si trovava alla stazione di Verona, che lo tenne in coma per i due mesi successivi e lo ha reso invalido al 100% per tutta la vita.
“Tale normativa darebbe seguito alla richiesta del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 che esorta gli stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo e dimostrerebbe, a livello internazionale, l’impegno dell’Italia nella prevenzione dalle violazioni dei diritti umani” ha dichiarato Laura Renzi, coordinatrice della campagna.
Immagine di copertina: consegna firme di Amnesty International Italia