(post aggiornato)
Tra le diverse misure della prima legge di bilancio del governo Meloni, c’è anche la modifica del reddito di cittadinanza, il cavallo di battaglia del M5S.
Dal 1° gennaio 2023 alle persone tra 18 e 59 anni (abili al lavoro ma che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età o donne in gravidanza) sarà riconosciuto il reddito nel limite massimo di 7/8 mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili. E’ inoltre previsto un periodo di almeno sei mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale. In mancanza, decade il beneficio del reddito. Si decade anche nel caso in cui si rifiuti la prima offerta congrua.
Nella nota del Mef si legge che il reddito di cittadinanza verrà abrogato nel 2024 e sarà sostituito da una nuova riforma.
«Avremmo avuto bisogno di più tempo per fare una riforma complessiva, che faremo, ma intanto stabiliamo che si continua a tutelare chi non può lavorare, disabili, anziani, famiglie prive di reddito con minori a carico, donne in gravidanza» ha dichiarato la presidente Meloni durante la conferenza stampa.
Emendamenti
Dopo una serie di “peripezie”, la Commissione bilancio ha approvato il testo. Nella notte del 21 dicembre è stato approvato l’emendamento a firma di Maurizio Lupi (Noi Moderati) che elimina “l’offerta di lavoro congrua”. La congruità dell’offerta è attualmente determinata dall’ esperienze e competenze maturate e anche la distanza del luogo di lavoro dal domicilio e tempi di trasferimento.
La modifica prevede che la prima proposta di lavoro potrà essere localizzata su tutto il territorio nazionale, pena l’annullamento del sussidio.
L’altro emendamento a firma Sasso, riguarda un ulteriore restrizione del sussidio: l’erogazione del reddito di cittadinanza ai giovani tra i 18 e i 29 anni sarà condizionata in base completamento del percorso della scuola dell’obbligo.
Non è mancata la risposta di Giuseppe Conte che ha commentato: “L’ultimo affondo è di stanotte, con l’emendamento Lupi: qui non riguarda solo il reddito di cittadinanza, perché dire che i più indigenti devono accettare qualsiasi proposta significa distruggere l’ascensore sociale, e questo riguarda tutti. Siamo alla follia pura, hanno fatto saltare il concetto di congruità che è un concetto fondamentale per tutelare la dignità del lavoro e degli studi”.
“Questo significa che un ingegnere del Sud o un laureato del Sud in giurisprudenza, può andare a fare il lavapiatti in Friuli e deve accettare qualsiasi offerta. Quello della congruità è un concetto che culturalmente preserva e tutela la meritocrazia che questo governo vuole proteggere” ha aggiunto Conte all’assemblea di Coldiretti.
Alcuni dati
Stando ai dati Anpal del 30 giugno 2022, su 2,3 milioni di percettori del reddito di cittadinanza, sarebbero 919.916 i beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro. Di questi 173mila (18,8%) risultano occupati, 660mila (il 71,8%) sono tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro e i restanti 86mila (9,4%) risultano esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali.
La metà degli occupati il 53,5%, ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato o in apprendistato. Gli under 30 fanno invece registrare il livello maggiore di precarietà: tra questi, infatti, sono oltre il 55% coloro che hanno un contratto a termine. Fra tutti i beneficiari che lavorano con contratti a tempo determinato (il 39,2%), oltre la metà ha un contratto con durata pari o inferiore a 6 mesi.
Dei 660mila beneficiari soggetti al patto per il lavoro (dunque non occupati, non esonerati e non rinviati ai servizi sociali), quasi i tre quarti – il 72,8%, corrispondente a 480mila persone – non ha avuto un contratto di lavoro subordinato o para-subordinato negli ultimi 3 anni. Il 70,8% ha al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore e solo il 2,8% un titolo di livello terziario, mentre un quarto ha un diploma di scuola secondaria superiore.
I soggetti presi in carico dai servizi per il lavoro sono 280mila, pari al 42,5% dei 660mila soggetti al patto per il lavoro.
Il punto nero: le politiche attive del lavoro
Uno dei temi poco raccontati è la capacità del sistema di collocare gli inoccupati e i percettori del sussidio.
Come spiega Ipsoa, il successo del sussidio si ha quando i sistemi di politiche attive sono in grado di limitare temporalmente le fasi di transizione fra un rapporto di lavoro e l’altro e creare percorsi di riqualificazione che hanno generato una catena di valore da reimmettere nel mercato del lavoro.
Invece nel nostro Paese è avvenuto l’opposto, ovvero è stato introdotto uno strumento di sostegno al reddito non accompagnato da un adeguato sistema di politiche attive del lavoro.
Tuttavia, occorre sottolineare che nonostante i legislatori non abbiano avuto i risultati sperati nell’ambito della collocazione lavorativa, nell’ultimo rapporto l’Istat spiega che il Rdc e reddito di emergenza nel 2020 hanno evitato che circa un milione di cittadini arrivasse sotto la soglia della povertà assoluta.
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Immagine di copertina: governo.it