In Amazzonia le donne sono in prima linea nella difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Si tratta di donne forti e coraggiose che affrontano direttamente i governi e si oppongono alle azioni scellerate delle multinazionali. Per questo vengono minacciate e subiscono atti ritorsivi. E’ il caso di Salomè, Margoth Escobar, Nema Grefa e di tante altre donne impegnate in una causa che non interessa solo loro, ma tutta l’umanità.
Il caso di Salomè
Salomé Aranda è nativa del popolo Kichwa nell’Amazzonia ecuadoriana. Insieme alle altre donne si batte per difendere la foresta amazzonica e il diritto delle donne della sua comunità a vivere in un ambiente sano e libero dal pericolo della violenza sessuale.
Il 22 marzo 2018 durante un incontro con il presidente Moreno ha denunciato pubblicamente i possibili impatti ambientali delle operazioni petrolifere nel bacino del fiume Villano, nella provincia di Pastaza, e i casi di abusi sessuali contro le donne indigene.
A poche settimane da quell’incontro, nel maggio 2018, un gruppo di individui sconosciuti ha attaccato e minacciato Salomé e la sua famiglia lanciando pietre contro la loro abitazione.
L’ufficio del procuratore non ha ancora accertato i colpevoli e non ha nemmeno predisposto per lei e a sua famiglia una misura di sicurezza.
Salomè purtroppo non è un caso isolato. Margot Escobar, l’attivista che ha scelto di difendere l’ambiente e i diritti dei popoli nativi, nell’agosto 2015 è stata attaccata dagli agenti di polizia mentre partecipava a uno sciopero nazionale indetto dai movimenti sociali a Puyo, nella provincia di Pastaza.
Dopo una detenzione preventiva, è stata rilasciata e poi accusata di ” attacco e resistenza”. L’assoluzione poi è arrivata a dicembre 2015.
Nel 2018 la casa di Margoth è stata incendiata intenzionalmente. L’incendio ha distrutto tutto, compresi i prodotti che aveva accumulato con altri commercianti per venderli durante il periodo natalizio.
I colpevoli non sono mai stati identificati. Margoth ha rinunciato a un sistema nazionale di protezione a causa della sfiducia nei confronti della polizia e delle istituzioni, dopo l’infortunio e i maltrattamenti ricevuti negli anni precedenti.
Per cosa combattono queste donne?
La battaglia tra gli indigeni del posto e le aziende petrolifere si protrae ormai da decenni. Le multinazionali vengono accusate di disboscare e avvelenare i fiumi e le falde acquifere con continui versamenti di petrolio. Tutto questo avviene con il benestare dei governi.
L’estrattivismo, le coltivazioni intensive e la povertà mettono in pericolo la sopravvivenza di uno dei dei polmoni più importanti al mondo come l’Amazzonia e riducono in estrema povertà la popolazione che ci vive.
La situazione non è cambiata nemmeno con la pandemia. Nonostante lo stato di emergenza in Equador le aziende petrolifere hanno continuato ad estrarre con il flusso di lavoratori con il rischio di aumentare contagi.
Non se la passa meglio il Brasile che ospita il 66% della foresta pluviale dell’Amazzonia . Prima del 2018 la situazione della forestazione e l’estrattivismo era drammatica, con l’elezione di Bolsonaro si è arrivati alla tragedia. Le nuove concessioni petrolifere hanno strappato importanti pezzi della foresta pluviale alle loro popolazioni. Una rete di associazioni ambientaliste ha stimato che nei primi due anni di Bolsonaro la distruzione della foresta amazzonica è aumentata dell’81%.
Immagine di copertina: https://www.salviamolaforesta.org/petizione/1216/unitevi-a-noi-per-fermare-il-genocidio-di-bolsonaro
Immagine di copertina: Cambiamento dell’artista Alisa Singer – https://www.ipcc.ch/