Le Organizzazioni non governative impegnate da sempre nella promozione della pace, del disarmo, della protezione umanitaria e del rispetto dei diritti umani, fanno appello al Governo per ribadire la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la legge 185/90 che vieta la vendita di armi a Paesi che violano i diritti umani, e le norme internazionali che la rafforzano. Inoltre, invitano il Parlamento a controllare in modo approfondito le operazioni che riguardano l’export di armamenti. Si tratta di una presa di posizione contro un’azione che vuole smantellare la legge 185/90 con l’argomentazione del “rilancio” dell’economia nazionale post pandemia, motivazione considerata pretestuosa dalle Organizzazioni, perchè il settore degli armamenti vale meno del’1% del Pil nazionale.
Le pressioni per rivedere la legge 185/90
In queste settimane alcuni esponenti politici, militari, opinionisti e “think that” del settore militare, stanno facendo pressione per rivedere le norme in vigore allo scopo di facilitare le esportazioni di armamenti e la competitività dell’industria militare, la cui funzione viene enfatizzata come “strategica” per la bilancia commerciale del Paese, per i livelli occupazionali e finanche per il “rilancio” dell’economia nazionale nell’attuale fase recessiva dovuta alla pandemia. Per le Organizzazioni si tratta di argomentazioni pretestuosi, visto l’impatto marginale che il settore armamenti ha sul Pil. Dati dimostrati da analisi oggettive.
Le pressioni hanno trovato pretesto nella revoca di sei licenze per forniture di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi decisa dal Governo Conte II.
Yemen, il Governo italiano revoca le autorizzazioni per l’export di armi in Arabia Saudita e negli Emirati
L’impatto dell’AD&S ( compreso anche il comparto militare) sul Pil italiano
Secondo uno studio Ambrosetti in collaborazione con Leonardo, l’industria italiana dell’Aerospazio, della Difesa e della Sicurezza (AD&S) vale 13,5 miliardi di euro, pari al 0,65% del Pil. Altre stime arrivano a quota di 16,2 miliardi. Approssimando per eccesso si arriva a circa l’1% del Pil.
Per quanto concerne il settore militare, vale circa 3 miliardi certificati dalla Relazione al Parlamento della legge 185/90, che è possibile arrotondare a 3,5 miliardi di euro. Come fa notare sulle pagine del Manifesto, l’attivista Francesco Vignarca, si tratta di cifre residuali rispetto ad altri settori dell’economia italiana.
Da un punto di vista dell’occupazione l’industria nel suo complesso dà lavoro a circa 45 mila persone. Secondo il rapporto del Cesi-italia.org se viene considerato l’occupazione indiretta si raggiungono altre 159.000 persone. Vignarca sempre dalle pagine del Manifesto parla di circa 200-230.000 lavoratori, se viene considerato l’indotto. Si tratta comunque dello 0,21% di tutta la forza lavoro italiana a fine 2020. Una cifra non prepoderante rispetto agli altri settori economici.
Nel 2020 il governo italiano ha impiegato 26 miliardi di euro per le spese militari
Oltre all’impatto economico, nel 2020 il governo italiano, in piena pandemia, ha impiegato 26 miliardi di euro per le spese militari, mentre mancavano posti letto ( per tagli alla sanità negli anni precedenti) mascherine e respiratori.
A queste risorse, secondo Rete Italiana Pace e Disarmo il comparto militare riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.
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