Sono passati ventuno anni dal G8 di Genova, che dal 19 al 22 luglio 2001 ospitò i leader del mondo e i vari movimenti. Le violenze in piazza, alla scuola Diaz, nel carcere di Bolzaneto e la morte di Carlo Giuliani, hanno reso l’evento una delle pagine più nere e vergognose della storia d’Italia. Per Amnesty International si è trattata della “più grande sospensione dei diritti democratici in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale”.
A distanza di anni, non è mai emersa una riflessione seria e approfondita da parte delle istituzioni sulle violenze che si consumarono a Genova. Anzi, la politica ha sempre assunto un atteggiamento protettivo nei confronti dei vertici della polizia sotto processo, nonostante le sentenze dei tribunali e della Corte europea dei diritti umani.
Genoa Social Forum
Tra il 19 e il 23 luglio 2001, oltre 300 mila persone scesero per le strade di Genova. Il Genoa Social Forum, nato come “Patto di Lavoro”, raggruppava più di 1000 associazioni, partiti, movimenti e gruppi sociali europei e internazionali. C’erano centri sociali italiani, movimenti cristiani, ambientalisti e politici.
I manifestanti chiedevano la fine dello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, e un impegno a livello globale sull’ambiente. Il Genoa Social Forum anticipava in quell’occasione molte dinamiche. Infatti, a distanza di 20 anni, il mondo si trova a fare i conti con l’emergenza climatica, con una pandemia, l’accesso universale ai vaccini, lo sfruttamento delle risorse naturali e umane.
La morte di Carlo Giuliani
Venerdì 20 luglio 2001 il corteo dei disobbedienti venne più volte caricato dai carabinieri e dalla polizia, in un percorso autorizzato e ad oltre trecento metri dal limite convenuto. Molti testimoni raccontarono di cariche molto violente e ingiustificate, dell’ utilizzo dei gas lacrimogeni e di alcuni colpi di arma da fuoco. Una delle camionette si fermò inspiegabilmente contro un cassonetto; dal finestrino posteriore spuntò una pistola che prese di mira un giovane, mentre Carlo Giuliani, sopraggiunto raccolse un estintore vuoto ai suoi piedi. Carlo alzò le braccia, ma partirono due colpi di pistola. Il primo colpo lo raggiunge sul viso, dopo il secondo colpo, la camionetta fece retromarcia e passò, nonostante le urla dei presenti, con la ruota posteriore sinistra sul corpo di Carlo.
Questa dinamica dell’uccisione di Carlo Giuliani fu testimoniata dai numerosi filmati , immagini fotografiche e dai reporter presenti.
Il 5 maggio 2003, dopo due anni di indagini, il Gip accolse la richiesta di archiviazione per legittima difesa del Pm, formulando un giudizio di assoluzione sull’operato di Mario Placanica.
La morte di Carlo Giuliani quindi è stato un caso giudiziario consegnato alla storia d’Italia come un “delitto di Stato”, circondato da dubbi e ombre inquietanti.
Gli orrori scuola Diaz-Pertini
Sabato 21 luglio, alle ore 24 circa, i poliziotti entrarono nella Diaz e iniziarono a picchiare con calci, manganellate e sputi i manifestanti. I ragazzi erano per terra e in ginocchio. Agnoletto nel suo libro, parla del sangue ovunque, per terra, sui mobili, sui caloriferi. Vestiti sparsi a terra e zaini svuotati.
Decine di persone furono pestate e 93 arrestate con false accuse, in particolare del possesso di due bottiglie di molotov, introdotte dagli stessi agenti per depistare. Un imputato definì quella notte una vera e propria “macelleria messicana”.
Le sentenze della Corte d’Appello e della Cassazione
I giudici della Corte d’Appello hanno condannato tutti, a partire dai vertici come Gratteri e Luperi,e poi sono seguiti vice questori, capi di squadra mobile e dirigenti.
Per la Corte l’intera operazione fu voluta e coordinata dai dirigenti che parteciparono quella notte alla “perquisizione più illegale e sanguinosa della storia della polizia.”
La sentenza fu confermata dalla Corte di Cassazione con le 14 condanne definitive a carico di alti funzionari e dirigenti della polizia, riconosciuti colpevoli di falso ideologico. Alle condanne si aggiunsero 13 proscioglienti per effetto della prescrizione.
Dopo qualche mese furono rese note le motivazioni. Per i giudici la condotta violenta delle forze dell’ordine nella scuola Diaz “ha gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero.”
Per Corte europea dei diritti dell’uomo si è trattato di tortura
Il 7 aprile 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo venne chiamata per giudicare il ricorso di Arnaldo Cestaro, un cittadino picchiato e arrestato ingiustamente durante il bliz alla scuola Diaz.
La Corte confermò ciò che i giudici italiani avevano già sentenziato. Ma è andata oltre. La Corte ha qualificato i maltrattamenti subiti dal ricorrente durante l’irruzione della polizia alla scuola Diaz-Pertini come tortura, in riferimento all’art 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Ma la Corte prese atto anche del silenzio del Governo italiano, nonostante la richiesta di informazioni. Si è trattata di un’evidente sgrammaticatura istituzionale legata alla protezione dei funzionari e dirigenti imputati, a dispetto delle sentenze.
La Corte, infine, oltre a stabilire un cospicuo risarcimento a favore del ricorrente Cestaro, chiese all’Italia di introdurre una normativa in grado di reprimere la tortura e altri trattamenti inumani e un segno distintivo per indentificare le forze dell’ordine.
Gli orrori alla scuola di Bolzaneto
Le persone fermate durante le manifestazioni del G8 di Genova venivano condotte presso la caserma Bolzaneto. In numerosi casi i fermati accusarono le forze dell’ordine di violenze fisiche e psichiche e di un mancato rispetto dei diritti degli imputati.
Gli arrestati denunciarono anche episodio di tortura, costretti a stare in piedi per ore, con le mani alzate, e senza andare in bagno. Alcuni riportarono anche invocazioni a dittatori e ideologie di matrice fascista, nazista e razzista.
Il 5 marzo marzo 2010 la Corte d’appello accertò condotte illecite per quasi i 120 capi di imputazione e riconobbe la sussistenza dell’aggravante. Ma la maggior parte dei reati fu prescritta , e per tal motivo le condanne furono solo sette.
La Cassazione mantenne le sette condanne e prosciolse 15 imputati tra ci sottoufficiali dei carabinieri.
Ma per i giudici di secondo grado il richiamo al nazismo e al fascismo e quindi al programma sterminatore degli ebrei, esprimeva il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta di un pubblico ufficiale. Non solo questo richiamo rappresentava il più infimo grado di abiezione di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale della Repubblica italiana.
La Cassazione nelle sue motivazioni ha parlato di un “clima di completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto.”
Il caso di Bolzaneto giunse dinanzi alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo che confermò quanto deciso dai giudici italiani.
Per la Corte, i ricorrenti hanno vissuto per tutta la durata della detenzione in una zona di non diritto, dove le garanzie più elementari sono state sospese.
Anche nel caso di Bolzoneto la Corte ha riscontrato la deplorevole mancanza di collaborazione della polizia con le autorità giudiziarie.
Lo Stato incapace di accettare le sentenze
Dai fatti e dalle sentenze è emersa l’incapacità dello Stato di accettare il peso importante delle condanne inflitte dai diversi tribunali. In tal modo si spiegano le omissioni, come i vari ostacoli alle inchieste che ci sono stati nel corso degli anni. Lo Stato italiano anzichè procedere per la via maestra e condividere le sentenze, ha preferito “abbracciare” gli imputati e i condannati, facendola diventare una vera e propria linea di condotta.
Libro consigliato
Dopo Genova?
Non si è voltata mai pagina. Lo dimostra chiaramente l’atteggiamento delle istituzioni quasi restie nel ricordare quei fatti del G8, e nel creare un dibattito serio. Ma lo dimostrano anche i fatti di tortura in carcere, l’ultimo a Santa Maria Capua Vetere, dove sono imputati 108 tra agenti della Polizia penitenziaria e funzionari del Dap. Questi funzionari sono accusati di: tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine
Il 15 gennaio 2021 a Ferrara, un agente di polizia penitenziaria è stato condannato a tre anni di reclusione per tortura inflitta a una persona detenuta.
Il 17 febbraio 2021 dieci agenti di polizia penitenziaria del carcere di San Cimignano sono stati condannati per tortura e lesioni aggravate in concorso. Per la seconda volta, a distanza di un mese, è stata applicata la legge contro la tortura.
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Immagine di copertina: Twitter- il farmacista di lavagna