I cambiamenti climatici stanno avendo dei forti impatti sulle migrazioni: mancato accesso all’acqua, perdite nella produzione agricola, effetti sulla salute umana, sono stati fattori che nell’ultimo trentennio hanno portati gruppi di individui a spostarsi. Secondo la Banca Mondiale entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a 220 milioni di persone. A pagare a caro prezzo gli effetti del cambiamento climatico sono i paesi poveri.
Secondo un rapporto di Oxfam negli ultimi 20 anni sono 10 i Paesi più colpiti dagli eventi climatici estremi: Somalia, Haiti, Gibuti, Kenya, Niger, Afghanistan, Guatemala, Madagascar, Burkina Faso e Zimbabwe.
Questi paesi messi assieme sono responsabili di appena lo 0,13% delle emissioni globali di CO2 in atmosfera. Mentre i Paesi del G20 ne producono il 76,60%.
In soli 6 anni il numero di persone colpite dalla fame è più che raddoppiato nei 10 paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi climatici estremi. Erano 21 milioni nel 2016, oggi sono 48 milioni, 18 milioni dei quali realmente sull’orlo della carestia.
Definizione di migrante ambientale
Il diritto internazionale come l’ordinamento nazionale non contemplano i migranti ambientali. Nel 2019 l’Oim ha definito migranti ambientali “persone o gruppi di persone che, principalmente per motivi di cambiamento improvviso o progressivo dell’ambiente che influisce sulle loro vite impattando in maniera negativa, sono obbligati a lasciare (o scelgono di lasciare) le proprie abitazioni abituali, temporaneamente o definitivamente, spostandosi all’interno del proprio paese o all’estero”.
Il Corno d’Africa
Il Corno d’Africa entra nella sesta stagione umida consecutiva senza piogge, di conseguenza il numero di persone in fuga continua ad aumentare. Milioni di persone da Somalia, Etiopia e Kenya lottano per sopravvivere tra risorse idriche scarse, fame, insicurezza e conflitti. Si tratta delle più lunghe e gravi siccità mai registrate in questi zona del mondo.
Nonostante in Somalia si sia evitata una carestia, soprattutto grazie a una più ampia risposta umanitaria, le persone continuano a lottare contro una letale scarsità di acqua e cibo, risultato di un’enorme perdita di raccolti, bestiame e reddito. I prezzi dei beni locali restano a livelli record, fuori dalla portata di molti. La pericolosa confluenza di clima e conflitti nella regione sta peggiorando una situazione umanitaria già gravissima.
Secondo i dati dell’UNHCR, in Etiopia e Somalia ci sono più di 1,7 milioni di sfollati interni a causa della siccità; la maggior parte ha dovuto spostarsi l’anno scorso. Più di 180.000 rifugiati da Somalia e Sud Sudan sono arrivati nelle aree colpite dalla siccità di Kenya ed Etiopia.
Nelle ultime settimane, quasi 100.000 persone sono arrivate a Doolo, una regione remota nella regione etiope dei Somali anch’essa colpita duramente dalla siccità, in fuga dai conflitti nell’area di Laascaanood in Somalia. Soltanto in Somalia, dall’inizio dell’anno, più di 287.000 persone sono sfollate a causa dei conflitti e della siccità.
Gli spazi nei campi di Dadaab in Kenya sono limitati; pertanto, i rifugiati in cerca di sollievo dalla catastrofe climatica sono stati costretti a fermarsi intorno ai confini dei campi, dove l’assistenza è limitata; si sta lavorando per aprire un nuovo insediamento sul luogo dove sorgeva un campo ormai chiuso. Una donna rifugiata vicina ai settant’anni, arrivata da poco a Dadaab, ha raccontato al nostro staff che pur avendo sopportato tre decenni di conflitto nel sud della Somalia, è stata costretta a fuggire dalla fame.
In Niger dove l’80% della popolazione dipende dall’agricoltura, secondo le agenzie umanitarie che lavorano nell’Africa occidentale e centrale si prevede che quasi 3 milioni di persone – quasi il 10% della popolazione – soffriranno la fame nei prossimi sei mesi, a causa della crisi climatica, dell’aumento dei prezzi del cibo
Afghanistan
In Afghanistan a causa dei conflitti e della siccità nel Paese ci sono 4 milioni di sfollati interni e più di 2,7 milioni di rifugiati in altri paesi. Nel 2022 la siccità e le inondazioni estive fuori stagione, infatti, hanno spazzato via i raccolti e ucciso il bestiame, riducendo drasticamente le forniture di cibo vitale e diminuendo le fonti d’acqua.
L’attuale combinazione catastrofica di siccità estrema, inondazioni e crisi economica porta molte famiglie di agricoltori sull’orlo della fame, costringendole a ricorrere a misure drastiche per mettere il cibo in tavola.
L’accesso all’acqua pulita diventa ogni giorno più difficile. I bambini camminano per ore per raccogliere l’acqua per le loro famiglie o, in alcuni casi, bevono acqua sporca esponendosi a malattie mortali (trasmesse dall’acqua) come la diarrea acquosa acuta. Una recente valutazione a livello nazionale ha rilevato che l’80% delle famiglie nelle aree rurali e il 75% delle famiglie nelle aree urbane non hanno abbastanza acqua per bere, cucinare e lavarsi.
Pakistan
Il Pakistan è stato colpito dalle inondazioni che hanno devastato vite, mezzi di sussistenza e infrastrutture. L’ondata di calore durante l’estate ha visto il Pakistan diventare il luogo più caldo del pianeta.
“La triste verità è che il Pakistan – e altri paesi in prima linea nella crisi climatica – continueranno a subire shock climatici sempre più estremi e bisogna preparare le comunità a fare fronte alla tempesta in arrivo”, ha dichiarato Chris Kaye, Direttore del WFP in Pakistan.
Le inondazioni hanno più che raddoppiato il numero di persone che hanno avuto bisogno di assistenza alimentare di emergenza, un totale di ben 14,6 milioni di persone. Con vaste aree di terreno agricolo ancora sott’acqua, la stagione autunnale della semina del grano è ora compromessa, sollevando timori per una significativa scarsità di grano nel paese e per prezzi proibitivi, una dura prospettiva data la continua volatilità dei mercati globali delle materie prime.
Le inondazioni in Pakistan sono arrivate dopo una forte ondata di calore e di siccità, che ha visto temperature torride costantemente superiori ai 45°C. Ciò ha provocato il forte e inusuale scioglimento dei ghiacciai settentrionali del paese, seguito dalle piogge monsoniche più intense mai registrate, culminate in inondazioni catastrofiche.
Secondo il Climate Risk Index, il Pakistan è tra i dieci paesi al mondo più colpiti dalla crisi climatica, nonostante il paese abbia contribuito per meno della metà dell’uno per cento alle emissioni globali di gas serra, evidenziando l’ingiustizia climatica di questa catastrofe.
L’immigrazione in Italia è sempre “climatica”
Guardando i flussi migratori verso l’Italia, le nazionalità dichiarate dai migranti sono riconducibili ai Paesi che maggiormente stanno soffrendo la pressione del cambiamento climatico. Nel 2021 tra i primi Paesi di origine troviamo: Tunisia, Egitto, Bangladesh, Afghanistan, Siria, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Pakistan e Iran. Parliamo di Paesi dipendenti dal grano russo e ucraino e aree del mondo allo stremo per la siccità intervallata da alluvioni, per l’innalzamento delle temperature medie e per le conseguenti carestie che stanno affamando decine di milioni di persone.
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Fonti
UNHCR
Save The Children
Oxfam
Legambiente
Oim
Immagine di copertina: Pixabay