La leader di Fdi Giorgia Meloni è nuovamente tornata sul blocco navale per fermare i flussi migratori. In un tweet del 27 luglio, Meloni proponeva una missione europea in accordo con le autorità nordafricane per impedire partenze verso l’Italia.
Le politiche immigrazioniste hanno gettato nel caos la Nazione. Da tempo @FratellidItalia propone il #blocconavale, una missione europea in accordo con le autorità nordafricane per impedire partenze verso l’Italia e morti in mare. Difendere i confini significa difendere l’Italia. pic.twitter.com/hINFX6ni6j
— Giorgia Meloni 🇮🇹 ن (@GiorgiaMeloni) July 27, 2022
Nel programma di centrodestra però si parla in modo generico di “contrasto all’immigrazione irregolare e gestione ordinata dei flussi legali di immigrazione” e di “difesa dei confini nazionali ed europei come richiesto dall’UE con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani”.
Ma è realmente fattibile da un punto di vista giuridico il blocco navale? No, non è fattibile. Non lo dicono i “buonisti” di turno, ma il diritto internazionale, in particolare la Carta delle Nazioni Unite e la Convenzione di Ginevra. Inoltre, appare abbastanza sorprendente come alcuni esponenti di Fdi considerino un “esempio” da applicare il “blocco navale” del 97 del governo Prodi, dove morirono 81 persone.
Cosa significa blocco navale
Il blocco navale è un’azione di guerra volta a impedire l’entrata o l’uscita di una qualsiasi nave dai porti di uno Stato belligerante, con cui si è in guerra. La Risoluzione dell’Assemblea Generale n 3314 del 1974 definisce il “blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte delle forze armate di un altro Stato” come atto di aggressione.
Da cosa è regolamentato
Il blocco navale è regolamentato dal capitolo VII “Azione rispetto alle minacce alla pace, alla violazione della pace ed agli atti di aggressione“, ovvero dall’art 41 e 42 della Carta delle Nazioni Uniti, ratificata dall’Italia.
L’art 2 della Carta delle Nazioni Unite recita che “i Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo.”
Per quanto concerne gli eventuali campi di applicazione del blocco navale, ai sensi dell’art 41 “il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure , non implicanti l’uso della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i Membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche.”
Ai sensi dell’art 42 “se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste dall’art 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali terrestri di Membri delle Nazioni Unite.”
Proseguendo, secondo la Convenzione di Ginevra del 1949 e 1977 sui conflitti armati via mare, il blocco navale deve rispettare determinati criteri:
- la forza militare che deve attuare il blocco navale deve comunicare alle nazioni non belligeranti la definizione geografica della zona soggetta al blocco stesso;
- il blocco navale deve essere imparziale nei confronti delle nazioni belligeranti;
- consente la possibilità di catturare qualsiasi imbarcazione mercantile che violi il blocco e il deferimento al tribunale;
- consente la possibilità di attaccare qualsiasi imbarcazione mercantile nemica che opponga resistenza al blocco navale;
- vi è l’obbligo di permettere il passaggio di carichi contenenti beni di prima necessità e medicinali per la popolazione locale.
Il “blocco navale” del 1997 in Albania dove morirono 81 persone
Dopo il crollo del regime comunista, negli anni Novanta, l’Albania si ritrovava in una condizione molto difficile. A gennaio 1997, un terzo delle famiglie albanesi persero i propri risparmi, dando inizio a una serie di proteste. Data la grave situazione l’allora Presidente della repubblica, Sali Berisha, dichiarò lo stato d’emergenza. Fu proprio in quell’occasione che iniziò l’immigrazione verso l’Italia.
Il governo italiano guidato da Romano Prodi, adottò una duplice strategia: da una parte si decise di dare accoglienza temporanea per chi aveva più bisogno; dall’altra fece un accordo l’Albania per avere l’autorizzazione di pattugliare le coste albanesi al fine di respingere i flussi migratori.
Si trattava di un vero e proprio blocco navale: la prima fascia di navi controllava le acque albanesi, la seconda era costituita dalle navi d’altura con il compito di intercettare eventuali imbarcazioni di migranti, la terza agiva per attuare i respingimenti ed evitare ingressi migratori in Italia.
Il 28 marzo 1997, una motovedetta carica di bambini e donne, fu speronata nel canale d’Otranto da una corvetta della Marina militare italiana. Morirono 81 persone e 32 feriti.
La sentenza di secondo grado del 2011 stabilì 4 anni di carcere poi ridotti a tre anni e 5 mesi per il comandante della motovedetta albanese, Katër i Radës, e due anni e quattro mesi per Fabrizio Laudadio, comandante della Sibilla.
Il blocco navale non bloccò i viaggi dei migranti. Ad agosto 1997 l’Italia ritirò il suo contingente e si impegnò ad addestrare le forze militari e di polizia albanesi, con l’operazione Alba, promossa dall’Italia e questa volta con l’autorizzazione dell’ONU.
L’ex capo di Stato Maggiore del Comando Nato per il Sud Europa, Fabio Mini, sulle pagine della Verità ha spiegato che il blocco navale non è fattibile. Nel caso una nave italiana assaltasse l’imbarcazione di una Ong fuori dalle acque territoriali, l’Italia finirebbe sotto processo, perchè accusata di atti di pirateria.