In Italia la donna non è libera di abortire

A 44 anni dall’entrata in vigore della legge 194 che ha decriminalizzato e regolamentato il diritto all’aborto, le donne in Italia non sono ancora nella condizione di decidere liberamente l’interruzione spontanea di gravidanza.
Le cause sono riconducibili al numero altissimo di obiettori, alle violenze fisiche e psicologiche, all’assenza di informazioni chiare e scientificamente corrette e alle amministrazioni anti-abortiste.

Nonostante le dichiarazioni di Giorgia Meloni sulla 194, la destra ha presentato alcune proposte di legge pro life, pur senza toccare la legge 194. L’ultima proposta è stata depositata dal senatore di Fdi Roberto Menia che propone il riconoscimento della capacità giuridica ogni essere umano punta a riconoscere all’embrione (nemmeno al feto) lo status giuridico di ‘persona titolare di un diritto a nascere’. A ottobre Il senatore di Forza Italia ha depositato un disegno di legge che prevede la modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito.

Nel 2021 il Comitato europeo per i diritti sociali, l’organo del Consiglio d’Europa,  ha già denunciato gravi difetti del sistema italiano in tema di diritto all’aborto.
Il ministero della Salute da diversi anni non fornisce, nemmeno su richiesta,  i dati aggiornati sulle violazioni dei diritti riproduttivi, sugli aborti clandestini e sulle conseguenze dell’aumento degli obiettori.
Secondo il Comitato, l’Italia viola l’articolo 11 della Costituzione: “Ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del miglior stato di salute ottenibile“.

La difficoltà di accedere ai servizi portano la donna a ricorrere all’aborto clandestino, con tutti i rischi che ne conseguono. Si tratta di una pratica che sfugge alle statistiche. Secondo alcune stime approssimate (2019) del ministero della Salute, ci sarebbero  tra le 10 e le 13 mila donne  che ogni anno  ancora vi ricorrono.

L’altra problematica riscontrata è la mancanza di informazioni esaustive sul sito istituzionale del ministero della Salute, rendendo il percorso della donna confuso e complesso.  Ma si evidenzia un ampio spazio dedicato alle informazioni che mirano a dissuadere dall’interruzione di gravidanza.

Da un punto di vista educativo, tutt’oggi le istituzioni scolastiche non  hanno linee guida chiare e fondi dedicati a programmi strutturali e continuativi sull’informazione sessuale e di educazione alla prevenzione. Come è stato auspicato dalle leggi 405/1975 e 194/1978, è fondamentale che questi programmi diventino parte integrante dell’istruzione, responsabile dei futuri cittadini e cittadine.

La piaga dell’obiezione

Due ricercatrici Chiara Lalli e Sonia Montegiove hanno fatto una richiesta di accesso civico generalizzato alle singole ASL e ai presidi ospedalieri chiedendo i numeri specifici per struttura.

Nella mappa “Obiezione 100” è emerso che ci sono gli ospedali con il 100% di obiettori di coscienza e quelli con una percentuale superiore all’80% per tutte le categorie professionali (ginecologi, anestesisti, personale non medico).

Ci sono 72 ospedali che hanno tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza.

Ci sono 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS. 18 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori. E 46 strutture  hanno una percentuale di obiettori superiore all’80%.

Sono 11 le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto.
Le Regioni più inadempienti sono la Sardegna e la Sicilia, con più dell’80% di mancata risposta all’accesso civico generalizzato. Ad Andria (Puglia) sono obiettori al 100% sia i ginecologi sia il personale non medico. Nel Polo ospedaliero di Francavilla Fontana (Puglia), più del 90% di medici ginecologi, gli anestesisti e gli infermieri sono obiettori.

Secondo il ministero della Sanità i dati del 2020, benché in lieve diminuzione, confermano un’alta percentuale di obiettori (64,6% dei ginecologi, 44,6% degli anestesisti e 36,2% del personale non medico) con ampie variazioni regionali per le tre categorie. Risultano disponibili 2,9 punti IVG ogni 100.000 donne in età fertile e il carico di lavoro medio settimanale di ogni ginecologo non obiettore varia di poco rispetto agli anni precedenti. Le Regioni in cui si osserva un carico di lavoro più alto per i ginecologi non obiettori sono Molise (2,9 IVG medie settimanali), Puglia (2) e Campania (1,9)

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Immagine di copertina: www.associazionelucacoscioni.it

Fonti: Libera di abortire

Associazione Luca Coscioni

 

 

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