La differenza tra il 41 bis e l’ergastolo ostativo

Lo sciopero della fame dell’anarchico Alfredo Cospito ha aperto la discussione sul 41 bis e l’ergastolo ostativo. Circa sessanta movimenti e associazioni e quasi 150 tra artisti, intellettuali, docenti universitari, ricercatori, avvocati, attivisti hanno creato e sottoscritto la neonata piattaforma “Morire di pena”. Si tratta di una piattaforma di sensibilizzazione e rivendicazione che punta all’abolizione di questi due istituti e dei circuiti speciali di detenzione.

L’ergastolo ostativo

L‘ergastolo ostativo è un particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis Ord. Penit. che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari (liberazione condizionale, lavoro all’esterno, permessi premio, semilibertà) gli autori di reati particolarmente riprovevoli quali i delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione, nel caso il soggetto condannato non collabori con la giustizia ovvero tale collaborazione sia impossibile o irrilevante. L’ergastolo ostativo esclude quindi il reinserimento sociale del detenuto. Questo aspetto è contrario all’art 27 della Costituzione, secondo cui le pene  «devono tendere alla rieducazione del condannato».  

L’ergastolo ostativo è stato  tra le misure di emergenza nella lotta alla mafia volute dal giudice Giovanni Falcone nel 1992.

Per questo motivo nel 2021 la Corte Costituzionale si è espressa sull’ergastolo ostativo, dichiarandolo incostituzionale e chiedendo al Governo una modifica.

Il governo Meloni è intervenuto con un decreto legge che prevede che ai fini della concessione dei benefici al condannato per i reati cosiddetti ostativi, non basterà la sola buona condotta carceraria o la partecipazione al trattamento ma saranno previsti l’obbligo di risarcire i danni provocati, insieme con requisiti che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o il rischio di ripristino di tali contatti, con l’esclusione pertanto di eventuali automatismi e con l’introduzione di un procedimento rafforzato di valutazione delle richieste, che prevede anche l’obbligo da parte del giudice di sorveglianza di acquisire i necessari pareri. Ai fini della liberazione condizionale, si prevede che la richiesta possa essere presentata dopo aver scontato 30 anni di pena.

Il 41 bis

Il carcere 41 bis è una forma di detenzione particolarmente rigorosa, destinata agli autori di reati in materia di criminalità organizzata nei confronti dei quali sia stata accertata la permanenza dei collegamenti con le associazioni di appartenenza.

La disposizione venne introdotta dalla cosiddetta legge Gozzini, che modificò la legge 26 luglio 1975, n. 354. In origine l’articolo era composto da un unico comma: “In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.”

La norma aveva quindi una finalità preventiva nei confronti di situazioni di pericolo esclusivamente interne al carcere, come ad esempio la rivolta. Prevedeva il cosiddetto “sistema di sorveglianza particolare”, un istituto applicabile a tutti quei detenuti ritenuti pericolosi a causa dei loro comportamenti all’interno del carcere.

Nel 1992, dopo la strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone,  si aggiunse un secondo comma disposto con il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (cosiddetto Decreto antimafia Martelli-Scotti), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356.  Con la nuova disposizione, in casi di “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”, si consentiva al Ministro della giustizia di sospendere le garanzie e gli istituti dell’ordinamento penitenziario, per applicare “le restrizioni necessarie” nei confronti dei detenuti condannati, indagati o imputati per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso.

La misura inizialmente aveva un carattere temporaneo. Dopo varie modifiche, il 24 maggio 2002 il Governo Berlusconi II deliberò un disegno di legge di modifica degli articoli 4-bis e 41-bis dell’ordinamento penitenziario che abrogava la norma che sanciva il carattere temporaneo di tale disciplina rendendo il “carcere duro” un istituto stabilmente presente nell’ordinamento penitenziario. Inoltre, il regime di carcere duro venne esteso anche ai condannati per terrorismo ed eversione.

Le misure del 41 bis

La ratio dl 41 bis definito anche “carcere duro” si fonda sulla necessità di ostacolare eventuali contatti dei detenuti con l’esterno, in particolare con le organizzazioni criminali presenti sul territorio.

Per tale motivo sono previste una serie di misure.  L’assegnazione dei detenuti 41-bis all’interno dei reparti avviene tenendo in considerazione l’area geografica di operatività dell’organizzazione di appartenenza, le esigenze sanitarie nonché eventuali divieti d’incontro o incompatibilità segnalati dall’Autorità giudiziaria.
I detenuti al 41 bis sono obbligatoriamente in cella singola, senza eccezioni. Sono due al giorno le ore di socialità in gruppi composti da massimo quattro persone. La legge stabilisce che i detenuti al 41-bis possano effettuare un colloquio al mese dietro a vetro divisorio (tranne che per i minori di 12 anni) della durata di un’ora (sei i colloqui mensili per i detenuti “comuni”, senza barriere divisorie) e videosorvegliati da un agente di polizia penitenziaria (e, su ordine dell’Autorità giudiziarie, anche eventualmente “ascoltato” dallo stesso agente). Nel caso in cui i detenuti non effettuino il colloquio visivo mensile, possono essere autorizzati, dopo i primi sei mesi di applicazione del regime, a svolgere un colloquio telefonico con i familiari, che devono recarsi presso l’istituto penitenziario più vicino al luogo di residenza al fine di consentire l’esatta identificazione degli interlocutori. La partecipazione alle udienze è esclusivamente “da remoto” in videoconferenza.

L’applicazione dura 4 anni e può essere prorogata se ci sono i presupposti (in particolare quello “soggettivo” della la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva di appartenenza).

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