Partiamo col dire che l’8 marzo non è la festa della donna, ma la Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne. Questa iniziativa nacque per creare ulteriori occasioni per riflettere sulle passate conquiste delle donne e sulle gravissime problematiche che attanagliano la condizione della donna.
Femminicidi
Secondo i dati Eures nel periodo gennaio-ottobre 2020 si contano 91 omicidi con vittime femminili, un dato in leggera flessione rispetto alle 99 vittime dello stesso periodo dell’anno precedente. A diminuire sono le donne vittime della criminalità comune, mentre rimane stabile il numero dei femminicidi familiari.
L’incidenza del contesto familiare nei femminicidi raggiunge nel 2020 il valore record dell’89%, superando il già elevatissimo 85,8% registrato nel 2019. Analogamente, all’interno del contesto familiare, i femminicidi consumati all’interno della coppia salgono al 69,1% (erano il 65,8% nell’anno precedente).
Il lockdown ha fortemente influito sui profili di rischio del fenomeno, aumentando quello nei rapporti di convivenza: dai dati emerge infatti come il rapporto di convivenza, già prevalente nel 2019 (presentandosi per il 57,6% delle vittime), raggiunge il 67,5% nei primi dieci mesi del 2020, attestandosi addirittura all’80,8% nel trimestre del DPCM Chiudi Italia (quando, tra marzo e giugno 2020, ben 21 delle 26 vittime di femminicidio in famiglia convivevano con il proprio assassino).
Il 2021 purtroppo non è iniziato con le migliori intenzioni: ad oggi sono 11 le donne vittime di femminicidio
I numeri della violenza sulle donne
Nel mondo una donna su tre ha subito violenza. In Italia i dati Istat certificano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.
La pandemia ha acutizzato la piaga: i dati Istat indicano che le chiamate al numero antiviolenza 1522 nel periodo 1 marzo-16 aprile 2020 sono state 5.031, il 75% in più rispetto al medesimo periodo del 2019.
Nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020 il numero delle chiamate sia telefoniche sia via chat al numero antiviolenza 1522 secondo i dati Istat è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+119,6%), passando da 6.956 a 15.280.
La scarsa considerazione delle istituzioni nei confronti dei centri antiviolenza
I dati dimostrano l’importanza dei centri antiviolenza e delle case rifugio, ma le istituzioni continuano a sottovalutare la loro presenza essenziale sul territorio.
Il 64% delle organizzazioni D.i.Re ha richiesto i fondi previsti dall’avviso per i Centri antiviolenza. Di questi il 50% è in attesa, l’11,7 % ha ricevuto un acconto, il 13% è stato liquidato in toto.
L’organizzazione Di.re, fa notare le molteplici criticità di questi fondi:
-Il bando di queste risorse è stato pubblicato ad aprile, quasi a fine lockdown, quando i centri anti violenza avevano già provveduto con risorse proprie
-I requisiti minimi variavano da regioni e regioni
-Era richiesta una fideiussione, ma molti centri non sono in grado di avere garanzie dalle banche
-La pubblicazione della seconda graduatoria è avvenuta su sollecito di Di.Re, senza alcun ammontare
-Ad oggi molti centri non hanno alcuna notizia in merito all’accettazione delle richieste o meno.
La drammatica condizione economica e sociale delle donne
Gli ultimi dati dell’Istat sono impietosi: tra luglio e novembre l’occupazione torna a calare, nonostante il blocco dei licenziamenti. Si tratta di un crollo quasi tutto femminile: su 110 mila occupati in meno, 99 mila sono donne. La pandemia non ha fatto altro che aggravare un problema già esistente, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, “The Impact of Covid-19 on Women“, la pandemia ha amplificato ulteriormente le disparità di genere, portando indietro i programmi fatti negli anni precedenti.
In Italia, tra il secondo trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2020, ci sono state 470 mila occupate in meno, per un calo nell’anno del 4,7%. Su 100 posti di lavoro persi (in tutto 841 mila), quelli femminili rappresentano il 55,9%, a differenza dell’occupazione maschile, che ha dato prova di maggior tenuta registrando un decremento del 2,7% (371 mila occupati). La maggiore concentrazione del lavoro femminile si registra nell’occupazione a termine, in settori dei servizi, della ristorazione e dell’assistenza domestica. Questo è quanto emerso dal focus “Ripartire dalla risorsa donna” a della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
Il focus afferma che nell’ultimo anno la tendenza ad allontanarsi dal lavoro, rinunciando anche alla ricerca di un’occupazione, è cresciuta sensibilmente, facendo registrare tra giugno 2019 e 2020 un incremento di 707 mila inattive (+8,5%), soprattutto nelle fasce giovanili.
Come vedete non c’è nulla da festeggiare!!!