La narrazione sui giovani “choosy” smentita dai dati

Ogni anno, in concomitanza della stagione estiva, ristoratori e proprietari di locali lamentano di non riuscire a trovare persone, soprattutto giovani, da assumere (cuochi, camerieri…). Secondo questi imprenditori la colpa sarebbe del Reddito di cittadinanza. 

L’anno scorso a rincarare la dose ci ha pensato, un politico e amministratore, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, secondo cui non si  trovano più lavoratori perchè preferiscono il reddito di cittadinanza.

Poi è seguito l’appello ai giovani di Guido Barilla, da 30 anni Presidente del gruppo famigliare,:” Non sedetevi su facili situazioni, abbiate la forza di rinunciare ai sussidi facili e mettetevi in gioco. Entrate nel mercato del lavoro, c’è bisogno di tutti e specialmente di voi.

Le parole di Barilla hanno creato un certo sdegno tra i ragazzi e non solo. Tra le tante risposte c’è stata quella di Robi99: “Fresca di laurea, non so quanti CV ho inviato a Barilla. Di sicuro non ero adeguata ai loro standard, ma avessi mai ricevuto, una sola volta, una risposta anche negativa, anche preconfezionata. Prima di parlare di mettersi in gioco, magari cominciate a rispettarli, i giovani.”

Quest’anno si sono aggiunte le “sagge” parole del noto chef Alessandro Borghese, che si dice sempre in cerca di personale, ma fatica a trovare nuovi profili da inserire. Secondo lo chef, i ragazzi peccano di devozione al lavoro e di umiltà. E aggiunge:“Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con “soli” vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio. Oggi ci sono ragazzetti senza arte ne parte che di investire su se stessi non hanno la benché minima intenzione. Manca la devozione al lavoro, manca l’attaccamento alla maglia”.

Della stessa idea di Borghese è anche l’imprenditore Flavio Briatore.

E’ tutta colpa del Reddito di cittadinanza?

La difficoltà di trovare personale è un problema che si ripresenta ogni anno e ancora prima del Rdc.

Come spiegano i promotori della campagna “Mai più sfruttamento stagionale”, la questione dello sfruttamento nel settore della ristorazione e dell’alberghiero, non è limitato a qualche mela marcia, ma è strutturale, cioè ha cause sociali, economiche e culturali. E chi paga le conseguenze sono soprattutto i giovani e le donne.

L’anno scorso ha fatto molto scalpore il video inchiesta di Repubblica che raccontava l’esperienza di uno dei tanti lavoratori stagionali, costretti a lavorare in condizioni poco edificanti, con paghe risicate e turni massacranti.

Francesca Coin, docente di sociologia alla Lancaster University, nel Regno Unito, ha spiegato a Valigia Blu che in Italia si sta vivendo un abuso della narrazione “il lavoro c’è, ma i lavoratori preferiscono il Rdc”. La finalità è quella di mistificare le ragioni della disoccupazione in Italia. Sarebbe onesto e rischioso dire che da 30 anni in Italia la politica ha smantellato il sistema produttivo italiano. Piuttosto che affrontare il problema, si preferisce dare colpa ai giovani.

In merito al Rdc, per quanto necessiti di cambiamenti, non pone cifre tali da mettere in competizione il valore del sussidio con quello dei salari. Secondo i dati dell’Inps, tra gennaio e aprile 2021 l’importo medio del reddito di cittadinanza è stato di 580 euro. Si tratta di una cifra poco competitiva con uno stipendio almeno dignitoso.

L’Italia non è un Paese per giovani

A screditare questa narrazione che diversi giornali e televisioni raccontano, ci pensano i dati. Secondo l’Istat negli ultimi dieci anni il numero di emigrati italiani è aumentato costantemente. Nel 2019, 68 mila italiani tra i 18 e 39 anni si sono trasferiti all’estero.

Secondo il Rapporto realizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani con il supporto dell’Eures, su un campione nazionale di 960 giovani, solo il 37,2% dispone di un lavoro stabile, mentre il 26% è un giovane “precario” con contratto a termine, il 23,7% risulta disoccupato al momento dell’intervista e il restante 31,1% è studente -lavoratore. Una elevata discontinuità lavorativa caratterizza il 33,3% dei giovani intervistati, mentre 4 su 10 hanno lavorato per l’80% del tempo;  il restante 26,6% indica una “discontinuità moderata”.

All’interno di questo scenario non stupisce che la maggioranza degli intervistati dichiara di ricevere una retribuzione inferiore ai 10 mila euro annui, mentre per il 33,7% del campione questa risulta compresa tra 10 e 20 mila euro e soltanto nel 7,4% dei casi supera i 20 mila euro (cioè 1.650 euro mensili).

In queste condizioni  per i giovani il percorso per l’autonomia rimane un sogno quasi irraggiungibile: il 53% degli under 35 vive ancora in famiglia, mentre solo il 37,9% vive da solo o con il partner.

Secondo il dossier il 54,6% dei ragazzi ha avuto un lavoro senza contratto.  Il 61,5% ha dichiarato di aver accettato un lavoro sottopagato, il 37,5% di aver ricevuto pagamenti inferiori a quelli pattuiti e il 32,5% di non essere stato pagato affatto per il lavoro svolto, in assenza di garanzie a loro tutela. Inoltre, il 13,6% dei giovani ha dichiarato di aver subito durante l’esperienza lavorativa molestie o vessazioni.

Lo stesso ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ammette che  l’occupazione giovanile è  un’emergenza che merita immediate soluzioni. 

 

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