La sanguinosa repressione del regime di Teheran

Dopo la morte di Mahsa Amini, proseguono gli scontri tra manifestanti, la polizia e le Guardie di rivoluzione iraniane.
Iran Human Rights avverte delle continue uccisioni di manifestanti, dell’uso della tortura  e della pena di morte contro i detenuti per forzare false confessioni televisive e chiede un’urgente azione unita da parte della comunità internazionale.
Gli imputati sono  privati ​​del diritto di avere un avvocato di loro scelta e di un giusto processo.

L’agenzia di stampa ha stimato che dal l7 settembre sono stati uccisi 527 manifestanti e 71 bambini. Ma Date le forti limitazioni del regime iraniano è difficile determinare con precisione il numero delle persone imprigionate e uccise.

La Repubblica islamica in Iran è così spietata che persino alcuni membri della famiglia dei governanti denunciano il regime. Farideh Moradkhani, attivista e nipote di Khamenei,  ha paragonato Khamenei a Hitler e Mussolini e sostiene la rivoluzione iraniana.  Secondo quanto riferiscono i media iraniani, Farideh Muradkhani è stata condannata a 15 anni di carcere dal Tribunale speciale del clero, pena poi ridotta a 3 anni.

Anche la sorella del leader della Repubblica islamica Ali Khamenei ha dichiarato: “Mio fratello non ascolta il grido di libertà della gente, considera solo la voce di coloro che lo circondano. Spero di vedere presto la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia che governa l’Iran.”

Ebrahim Raisi, capo del governo della Repubblica islamica dell’Iran, durante la  cerimonia ha minacciato i manifestanti dichiarando “Non mostreremo pietà per gli avversari.”

La tattica delle autorità iraniane per stroncare le proteste

Amnesty International è entrata in possesso di documenti emessi dai vertici delle forze armate in cui si istruiscono tutti i comandi provinciali ad “affrontare severamente” le persone che manifestano dall’indomani della morte di Mahsa Amini mentre era detenuta dalla polizia morale.

In un documento, datato 23 settembre, c’è scritto che il comandante delle forze armate della provincia di Mazandaran ordina di “affrontare senza pietà, anche arrivando alla morte, qualsiasi disordine provocato da rivoltosi e antirivoluzionari”.

In una dettagliata analisi resa pubblica il 30 settembre, l’organizzazione per i diritti umani ha documentato la tattica delle autorità iraniane per stroncare le proteste: da un lato l’impiego di Guardie rivoluzionarie, delle forze paramilitari basiji, del Comando per il mantenimento dell’ordine pubblico, della polizia antisommossa e di agenti in borghese; dall’altro, il ricorso alla forza letale e alle armi da fuoco con l’obiettivo di uccidere manifestanti e nella consapevolezza che il loro uso avrebbe potuto causarne la morte.

Amnesty International ha anche raccolto prove, di torture ai danni di manifestanti e semplici passanti, di aggressioni sessuali ai danni delle donne in piazza. Alcune di loro sono state picchiate sul seno, altre sono state scaraventate a terra dopo che si erano tolte il velo.

Nel tentativo di assolvere se stesse, le autorità iraniane stanno promuovendo una falsa narrazione sulle vittime, descrivendole come “pericolose” e “violente” e addirittura arrivando a sostenere che siano state uccise da “rivoltosi”Le famiglie delle vittime vengono minacciate per indurle al silenzio o vengono loro promessi risarcimenti se sosterranno pubblicamente, tramite videomessaggi, che i loro cari sono stati uccisi da “rivoltosi” al soldo dei “nemici” della Repubblica islamica dell’Iran.

Amnesty International ha visto immagini contenenti atti di violenza da parte di una minoranza di manifestanti, ma ciò non giustifica il ricorso alla forza letale.

 

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Immagine di Masih Alinejad

La foto rappresenta il sacrificio delle donne.

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