La Camera ha approvato una mozione della maggioranza sulle iniziative in materia energetica, per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, con particolare riferimento all’energia nucleare.
Il testo approvato impegna il governo “a valutare in quali territori al di fuori dell’Italia la produzione di energia nucleare possa soddisfare il fabbisogno nazionale di energia decarbonizzata e a valutare l’opportunità di promuovere e favorire lo sviluppo di accordi e partnership internazionali tra le società nazionali e/o partecipate pubbliche e le società che gestiscono la produzione nucleare al fine di poter soddisfare il suddetto fabbisogno nazionale”.
Il passato nucleare dell’Italia
Il primo impianto nel nostro paese fu ultimato nel maggio del 1963. Fu realizzato a Borgo Sabotino, una frazione di Latina ed era dotato di un unico reattore Magnox da 160 MW e lordi. All’epoca, era l’esemplare più forte a livello europeo. Dopo otto mesi venne realizzato il secondo reattore a Sessa Aurunca, provincia di Caserta. Mentre nel 1964 avvenne l’accensione dell’impianto di Trino, nei pressi di Vercelli.
Nel 1966 l’Italia divenne così il terzo paese produttore al mondo dopo USA e Regno Unito. E nel 1975 venne varato il PEN (Piano Energetico Nazionale), al fine di sviluppare l’elettronucleare.
I primi dubbi sul nucleare
Negli anni ’80 nacquero i primi dubbi, soprattutto in termini di sicurezza. Il decennio fu caratterizzato da un dibattito seguente all’incidente di Three Mile Island del 1979. Seguì un altro incidente come quello del 1985 alla centrale ucraina di Černobyl’, tutt’ora considerato come il più grave a una centrale nucleare.
Referendum abrogativi
Alla luce di questi gravissimi eventi, nel 1987 gli italiani vennero chiamati a esprimersi su 3 quesiti inerenti le centrali nucleari. In particolare sulla localizzazione delle centrali, sui contributi ai comuni ospitanti e sul divieto di partecipazione di Enel a impianti nucleari all’estero. La vittoria fu quella del si con un’affluenza di circa l’80%.
Tra il 1988 e 1990 i Governi Goria, De Mita e Andreotti abbandonarono l’esperienza del nucleare in Italia con la chiusura di Latina, Trino e Caorso. Per rimediare Per rimediare alla mancata produzione nucleare si procedette con l’incremento d’uso di carbone, gas e combustibili. Aumentarono anche le importazioni mentre, successivamente, si aumentò la produzione del gas.
Nei primi anni del nuovo millennio Eni iniziò a reinvestire nella tecnologia del nucleare. Tra il 2008 e il 2009 si ebbe un aumento dei prezzi di gas e petrolio. L’allora ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, propose la costruzione di dieci nuovi centrali. La produzione si sarebbe dovuta affiancare con quella delle fonti rinnovabili, in modo da ridurre il dannoso fossile.
Nel 2008 fu definita la Strategia energetica nazionale, il quale subì il ricorso di tre regioni. Vennero stabilite le procedure amministrative, i tempi e i costi delle opere. Ma nel 2009 la legge fu impugnata da dieci regioni, il quale ricorso fu successivamente rigettato.
Nello stesso anno, l’allora governo Berlusconi firmò con la Francia un nuovo accordo sulla costruzione di quattro nuovi impianti nucleari da parte dell’Eni con la collaborazione di Edf. La prima centrale sarebbe stata completata entro il 2020. Dopo due anni fu firmato un simile accordo con gli Stati Uniti.
Un nuovo referendum del 2011 e la fine del nucleare in Italia
Nel 2011 si tenne un altro referendum. Il tema sul nucleare raggiunse il quorum e la percentuale di sì, si attestò al 94,05% decretando la chiusura del programma. Il risultato fu influenzato soprattutto dall’incidente di Fukushima Dai-ichi del marzo 2011, con esplosioni alla centrale che provocarono il terremoto e maremoto. Con l’esito del referendum l’Italia abbandonò in modo irreversibile il nucleare.
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Fonte: https://fornitori-luce.it/
Ansa