Il lavoro minorile è un fenomeno globale che non risparmia l’Italia, diffuso ma ancora in larga parte sommerso e invisibile.
Si stima che in Italia 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro, quasi 1 minore su 15. La maggioranza dei minori, ovvero il 53,8% che dichiara di aver lavorato durante l’ultimo anno o in passato, ha iniziato dopo i 13 anni, mentre il 6,6% prima degli 11 anni. In Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 16 anni, avendo assolto l’obbligo scolastico.
Tra i 14-15enni che dichiarano di svolgere o aver svolto un’attività, il 27,8% ha svolto lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, perché percepiti dagli stessi intervistati come pericolosi, perché svolti in orari notturni o perché svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico.
E’ quanto emerso dal rapporto “Non è un gioco”, la nuova indagine di Save The Children sul lavoro minorile in Italia.
Inoltre, la mancanza di una rilevazione statistica sistematica sul lavoro minorile non consente di definirne i contorni e intraprendere azioni efficaci di contrasto al fenomeno.
I settori prevalentemente interessati sono la ristorazione con il 25,9%, la vendita al dettaglio e attività commerciali con il16,2%, seguono le attività di campagna, i cantieri e attività di cura per i fratelli più piccoli.
Emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.
Tra i motivi e le cause che spingono ragazzi e ragazze ad intraprendere percorsi di lavoro ci sono l’avere soldi per sé, che riguarda il 56,3%, la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori, per il 32,6%. Non trascurabile sono i 38,5% di chi afferma di lavorare per il piacere di farlo. Il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, è significativamente associato al lavoro minorile. La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione.
Le conseguenze del lavoro minorile
Dal rapporto di Save The Children è emerso che la percentuale di minori bocciata durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato.
La crisi economica e l’aumento della povertà in Italia, basti pensare che sono 1 milione 382 mila i minori che vivono in povertà, il 14,2% del totale, rischiano di far crescere il numero di minori costretti a lavorare prima del tempo, spingendone molti verso le forme di sfruttamento più intense.
Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani ‘NEET’ (Not in Education, Employment, or Training), alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 1 milione e 500mila nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania.