Il ruolo delle donne nella Resistenza fu importante e determinante, ma poco conosciuto e valorizzato dalla storia. L’apporto delle donne alla Resistenza è stato sempre relegato ad un ruolo secondario, tanto da definirla una “Resistenza taciuta”.
Alcune stime dell‘Anpi sulla partecipazione delle donne alla Resistenza:
-70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna;
-35000 donne partigiane, che operavano come combattenti;
-20000 donne con funzioni di supporto;
-4563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti;
-2900 giustiziate o uccise in combattimento;
-2750 deportate in Germania nei lager nazisti;
-1700 donne ferite
-623 fucilate e cadute;
-512 commissarie di guerra
Le donne che hanno ricevuto la medaglia d’oro sono solo 19: Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Gina Borellini, Livia Bianchi, Carla Capponi, Cecilia Deganutti, Paola Del Din, Anna Maria Enriquez, Gabriella Degli Esposti Reverberi, Norma Pratelli Parenti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Rita Rosani, Modesta Rossi Polletti, Virginia Tonelli, Vera Vassalle, Iris Versari, Joyce Lussu.
Le partigiane si occuparono di stampa, propaganda del pensiero d’opposizione al nazifascismo, attaccavano manifesti, raccoglievano documenti, armi, munizioni, esplosivi, viveri, scarpe o attivando assistenza in ospedale, preparavano documenti falsi, rifugi e sistemazioni per i partigiani.
Durante la seconda guerra mondiale le donne emersero dall’anonimato: acquisirono un ruolo politico, ma anche economico-produttivo. Mentre gli uomini andavano a combattere, molte di esse si sostituirono e lavoravano nel settore tessile, alimentare e industriale, ma erano presenti anche in larga misura nella catena di montaggio, nei pubblici impieghi e nei campi, dove affrontavano le attività più faticose, tradizionalmente riservate agli uomini.
La Resistenza per le donne significò la conquista della cittadinanza politica. La volontà di liberarsi dai tedeschi si intrecciò con quello dell’emancipazione e della parità di genere, che portò successivamente al riconoscimento di un ruolo pubblico, fino ad allora negato da una società maschilista.
Lo sciopero della fame
Lo sciopero della fame del 16 ottobre 1941 a Parma fu il momento in cui le donne entrarono a far parte integrante del movimento antifascista. La protesta scoppiò per la mancanza di pane, nonostante Mussolino avesse dato delle rassicurazioni. Le donen assalirono un furgoncino della Barilla che trasportava il pane, le operaie uscirono dalle fabbriche e cominciarono a manifestare per le vie della città, molte di loro vennero immediatamente arrestate.
Non sappiamo esattamente quante fossero queste donne infuriate e ribelli, probabilmente qualche centinaio. Le relazioni di polizia, infatti, parlavano di «una ciurma» di popolane scalmanate, di dubbia moralità.
Ma quella esasperazione che aveva portato molte donne a ribellarsi, nonostante la repressione fascista, le spinse a proseguire, dimostrando alle autorità fasciste le dimensioni del dissenso sociale che cresceva in città. Da queste occasioni nacquero manifestazioni, al grido di slogan come “Vogliamo vivere in pace” oppure “Vogliamo pane, basta con gli speculatori”.
Visualizza questo post su Instagram
Gruppi di difesa delle donne
“È nel novembre del 1943 che in una stanza di un modesto appartamento di Milano, dove campeggia una grande stufa rossa, che alcune donne appartenenti ai vari partiti del CNL si riuniscono per gettare le basi di una organizzazione femminile unitaria e di massa. In tale riunione vengono definiti il nome, il tipo di organizzazione e il programma delle donne nella lotta di liberazione.”
Così Nadia Spano, una fra le ventuno donne elette nell’Assemblea costituente, ricordò la decisione di costituire i “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”.
Le fondatrici dei GDD provenivano da correnti differenti dell’antifascismo: Lina Fibbi era comunista, Pina Palumbo era socialista, Ada Gobetti era azionista.
I GDD dovevano promuovere la Resistenza, aiutare le famiglie «dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in Germania» come l’«aiuto morale» fornito ai combattenti alla raccolta di generi di conforto e denaro da destinare loro, dall’organizzazione di proteste nei luoghi di lavoro al sabotaggio della produzione e al rifiuto di consegna agli ammassi.
Le donne lavoravano anche per il coinvolgimento delle altre donne nella vita politica. Non trascurarono i loro bisogni come la parità salariale, assistenza all’infanzia e alla maternità, difesa delle lavoratrici madri, partecipazione alla vita politica , diritto al suffragio. La battaglia per il voto fu uno degli impegni presi durante la lotta.
Le staffette
Il ruolo delle staffette era ricoperto da giovani donne dai a i 16 e i 18 anni, poichè non destavano alcun sospetto e quindi non venivano sottoposte a perquisizioni. Le staffette garantivano un contatto tra il combattente e la famiglia e svolgevano attività di infermeria. Le staffette solitamente non erano armate e quindi si trovano nell’impossibilità materiale di difendersi. Molte di loro pagarono il loro impegno con le torture e la vita. Senza le staffette, la guerra partigiana sarebbe stata inattuabile.
Visualizza questo post su Instagram
Le combattenti
Il 1º distaccamento di donne combattenti sorse in Piemonte alla metà del 1944 presso la Brigata garibaldina “Eusebio Giambon” e fu una delle tante brigate partigiane nate durante la Resistenza, legate prevalentemente al partito Comunista, ma c’erano esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale, del Partito Socialista Italiano, del Partito d’Azione o della Democrazia Cristiana.
Queste donne imbracciarono le armi e si misero al fianco degli uomini. Alcuni partigiani inizialmente contestarono la presenza della donne, ma subito dopo dovettero ricredersi.
Per esempio Carla Capponi, partecipò alla Resistenza romana e divenne vice comandante di una formazione operante a Roma. I compagni le avevano impedito il possesso di armi, perché preferivano che si occupasse di altre mansioni; così nell’ottobre del 1943, sopra un autobus affollato, Carla rubò una pistola ad un soldato della GNR che si trovava al suo fianco. Nel 1944 fu tra gli organizzatori dell’attentato di via Rasella.