Libano, le autorità ostacolano l’inchiesta sull’esplosione di Beirut

A distanza di due anni e più dalla devastante esplosione nel porto di Beirut che ha provocato la morte di 250 persone e 6 mila feriti,  non c’è ancora giustizia e verità.

L’élite politica è accusata da più parti di essere responsabile dello stoccaggio illegale, delle 2750 tonnellate di nitrato di ammonio esplose nell’hangar n°12 dello scalo marittimo, situato di fronte al cuore della capitale.

Gli esponenti politici sospettati hanno presentato oltre 25 richieste di archiviazione causando la sospensione dell’inchiesta condotta dal giudice Bitar, quasi un anno fa.

Il giudice Tarek Bitar continua a essere ostacolato dalle autorità libanesi, che abusano della legge e dei poteri a loro disposizione per evitare di essere chiamate in causa per la devastazione, i morti e i feriti della terribile esplosione.

Nel corso delle sue indagini il giudice Bitar ha messo sotto accusa numerosi alti funzionari – tra i quali il capo dell’Agenzia per la sicurezza nazionale e il capo dei Servizi di sicurezza – ed esponenti politici libanesi.

Il 23 gennaio il procuratore presso la Corte di cassazione ha dichiarato che considererà “inesistente” l’analisi legale del giudice Bitar.

Il 26 gennaio il procuratore della Corte di Cassazione, Ghassan Oueidat,  ha deciso di rimettere in libertà tutte le 17 persone, accusate dell’esplosione, provocando scontri tra polizia e manifestanti e almeno 8 feriti, di fronte al Palazzo di Giustizia della capitale. Si tratta quindi dell’ennesima misura messa in atto per deragliare le indagini.

Lo stesso procuratore Queidat ha intimato più volte il giudice Bitar di non proseguire l’inchiesta, dopo che lo aveva citato in giudizio nell’ambito delle indagini. Il magistrato ha subito fatto sapere di non avere alcuna intenzione di rinunciare alle indagini.

Per i familiari delle vittime  si tratta di “un golpe politico, giudiziario e di sicurezza” nella decisione del procuratore Oueidat di incriminare Tarek Bitar. “È come se ci uccidessero ancora e ancora. Non ci sono leggi o indagini in Libano. La nostra unica speranza è la comunità internazionale” ha dichiarato Mireille Khoury, la madre di Elias, un adolescente ucciso dall’esplosione.” hanno dichiarato in un comunicato di denuncia.

Nel giugno 2021 Amnesty International, insieme a una coalizione di oltre 100 organizzazioni libanesi e internazionali per i diritti umani, ha sollecitato il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ad avviare un’indagine internazionale sull’esplosione al porto di Beirut. Questa richiesta è stata fatta propria, nell’agosto 2022, da numerosi parlamentari libanesi.

“La missione – si legge in una nota di Amnesty International, prima firmataria dell’appello – dovrebbe stabilire i fatti e le circostanze, comprese le cause profonde, dell’esplosione, al fine di stabilire la responsabilità statale e individuale e sostenere la giustizia per le vittime”.

“Due anni dopo, l’indagine interna è stata interrotta senza aver fatto alcun progresso. Le autorità libanesi hanno ripetutamente ostacolato il corso delle indagini interne sull’esplosione proteggendo politici e funzionari coinvolti nell’esplosione da interrogatori, procedimenti giudiziari e arresti”.

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Immagine di copertina: Amnesty Internationaò

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