Memorandum Italia-Libia: 5 anni di morte, abusi e torture

A cinque anni dalla firma del Memorandum d’intesa tra Libia e Italia, non è stato fatto nessun passo in avanti nella tutela dei diritti umani. Pertanto l’Italia e l’Europa si confermano complici dei crimini che vengono perpetrati in Libia.

Il governo ha ulteriormente rafforzato la collaborazione con la Libia. Il 29 gennaio 2023  il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha firmato un Memorandum d’intesa per la consegna di 5 vedette finanziate dall’Ue. “Rafforziamo la cooperazione con la Libia, anche per contrastare i flussi d’immigrazione irregolare.” Ha dichiarato il ministro Tajani, 

Negli ultimi cinque anni sono state più di 103 mila le persone intercettate in mare e riportate in Libia nei centri di detenzione.  Secondo l’Organizzazione mondiale della migrazione nel 2022 la guardia costiera ha riportato in Libia 21.457 migranti. 

Dal 2017 ad oggi, l’Unione Europea ha stanziato 57,2 milioni di euro per la “Gestione integrata delle frontiere e della migrazione in Libia”. Nel novembre 2022 ha annunciato un piano per aumentare ulteriormente il sostegno alla Libia.

Come afferma Human Rights Watch gli sforzi irrisori di garantire delle vie legali di uscita dalla Libia sono quasi irrisori, con solo circa 9.000 rifugiati evacuati dall’Agenzia Onu per i rifugiati attraverso un meccanismo di emergenza dal 2017 ad oggi.

Cosa prevede il Memorandum Italia-Libia 

Il Memorandum Italia- Libia  è stato firmato il 2 febbraio nel 2017 dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dal primo Ministro del governo di riconciliazione nazionale libico al-Serraj. L’accordo regola tutt’oggi la politica tra i due paesi in tema d’immigrazione e sbarchi, nella fattispecie l’Italia addestra ed equipaggia le autorità libiche, mentre quest’ultime intercettano le persone in mare e le riportano in Libia nei centri di detenzione dove subiscono torture e stupri, come è stato dimostrato da numerosi rapporti internazionali. 

La Libia non è un porto sicuro 

Come è stato riconosciuto dalle organizzazioni internazionali, la Libia non è un luogo sicuro per far sbarcare le persone che stanno in mare, perchè è un Paese instabile e non vengono garantiti i diritti umani.

Numerose inchieste giornalistiche e relazioni delle organizzazioni internazionali hanno denunciato il  deterioramento delle condizioni di detenzione dei migranti in Libia, dove vengono consumati abusi, sommarie esecuzioni, torture e sparizioni forzate.

In una relazione del 17 gennaio 2022 il segretario generale delle Nazioni Unite si è dichiarato “gravemente preoccupato” per le continue violazioni dei diritti umani contro i migranti e i rifugiati in Libiatra cui violenze sessuali, traffico di esseri umani ed espulsioni collettive. Il rapporto ha ribadito che “la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco di migranti e rifugiati” e ha ribadito la richiesta agli stati membri coinvolti di “rivedere le politiche che favoriscono gli intercettamenti in mare e il ritorno dei migranti e dei rifugiati in Libia”. Il rapporto ha anche confermato che i guardacoste libici continuano a operare con modalità che pongono in grave pericolo le vite e la salute dei migranti e dei rifugiati che cercano di attraversare il mar Mediterraneo.

I crimini di guerra e le responsabilità italiane e maltesi

Il 17  gennaio 2022 le Ong Adala for All, SraLi e UpRights hanno depositato un esposto alla Corte Penale Internazionale in merito ai crimi commessi in Libia tra il 2017 e il 2021 contro migliaia, migranti, rifugiati, tra cui donne e bambini, intrappolati nei centri di detenzione. L’esposto chiede alla CPI di esaminare anche le possibili responsabilità penali, non solo degli attori libici, ma anche delle autorità italiane e maltesi. 

Il 28 aprile 2022, nel corso di una regolare informativa al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione in Libia, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) ha riferito che i crimini commessi contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra e cadere all’interno della giurisdizione della CPI.

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