Il Tribunale di Roma-Sezione diritti della persona e immigrazione- per la prima volta ha sancito l’illegittimità della riammissione di un richiedente asilo attuata al confine orientale italiano, sulla base dell’accordo bilaterale del 3 settembre 1996, tra Italia e Slovenia, ma mai ratificato dal Parlamento italiano.
La decisione, ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Associazione degli Studi Giuridici per l’Immigrazione, è stata resa possibile grazie alla testimonianza raccolta da Border Violence Monitoring Network e dal giornalista Martin Gottske, frutto di una collaborazione con diverse realtà impegnate a documentare e contrastare le violenze a cui sono soggette le persone che si trovato sulla rotta balcanica.
La storia di Mahmood
Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, si chiedeva al tribunale di “accertare il diritto di Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia“.
A metà luglio Mahmood raggiuse l’Italia alla frontiera di Trieste, dove manifestò la volontà di chiedere la protezione internazionale. Ma in poche ore fu respinto in Slovenia, poi verso la Croazia e successivamente in Bosnia Erzegovina, a Lipa, dove era sprovvisto di accoglienza e supporto. Nel corso dei respingimenti a catena, Mahmood ha raccontato di aver subito violenza dalle autorità slovene e trattamenti inumani dalle autorità croate.
Le motivazioni dell’illegittimità della riammissione
Prima di tutto l’accordo bilaterale fra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996, non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano.
La riammissione è stata effettuata senza alcun provvedimento amministrativo. In assenza di un provvedimento impugnabile è stato negato allo straniero di poter esercitare i suoi diritti e il diritto a un ricorso effettivo in violazione dell’articolo 24 della Costituzione Italiana, dell’art 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
L’Italia non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero avuto in Slovenia, primo fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti.
Lo Stato italiano aveva tutti gli strumenti per sapere che le “riammissioni informali” avrebbero esposto i migranti, anche i richiedenti asilo, a trattamenti inumani. Pertanto la condotta italiana è stata posta in essere in contrasto con gli obblighi di diritto interno, anche di rango costituzionale e di diritto internazionale.
La condanna
Il diretta applicazione dell’art.10 della Costituzione Italiana , il Tribunale Roma ha riconosciuto il diritto del ricorrente a fare immediato ingresso in Italia al fine di avere accesso alle pratiche di esame per la protezione internazionale, accesso precluso a causa di un comportamento illecito delle autorità italiane.
L’Italia ha riammesso in Slovenia 1.240 persone
Il caso di Mahmood non è isolato. Stando ai dati del Viminale ottenuti da Altraeconomia, tra il primo gennaio e il 15 novembre 2020 l’Italia ha riammesso in Slovenia 1.240 persone, a loro volta respinti a catena in Bosnia. Si tratta di un numero importante, soprattutto se paragonato al 2019 quando ci furono 237 riammissioni.
Con il pretesto del Covid-19 le autorità italiane hanno intensificato le riammissioni in forza delle direttive del governo contenute in questa circolare.
Questi dati pongono l’Italia tra i responsabili dell’emergenza umanitaria che si sta consumando in Bosnia-Erzegovina.
Immagine di copertina: Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione