Aung San Suu Kyi, la prigioniera politica del regime militare birmano

Venerdì 29 dicembre, un tribunale controllato dalla giunta militare, ha condannato nuovamente la leader  Aung San Suu Kyi ad altri sette anni di carcere. Ad oggi Aung San Suu Kyi ha 19 accuse e rischia 33 anni di carcere

Myanmar-now.org
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Chi è Aung San Suu Kyi

Figlia del generale Aung San U, nel 1960 studiò in India e nel 1964 si  stabilì in Inghilterra, dove frequentò la Oxford University.

Nel 1988 decise di tornare in Birmania, dove fondò  la Lega nazionale per la democrazia, di cui fu nominata segretario generale.

Nel luglio 1989 divenne il simbolo dell’opposizione non violenta al regime militare e per tale motivo fu posta agli arresti domiciliari e fatta oggetto di una intensa campagna diffamatoria orchestrata dal regime per minarne la credibilità e depotenziare il suo movimento politico, soprattutto in vista delle elezioni. La Lega nazionale per la democrazia conseguì alle elezioni l’82% dei consensi.

Nel 1991 i militari riuscirono a estromettere la Lega nazionale per la democrazia e a ostacolare la convocazione dell’Assemblea costituente.

Nell’ottobre dello stesso anno Aung San Suu Kyi fu insignita del Premio Nobel per la pace, provocando la mobilitazione della Comunità internazionale e accrescendo l’isolamento diplomatico della Birmania.

Nel 1995  assunse nuovamente il suo incarico nel partito, rilanciandone l’attività di opposizione, ma nonostante tutto rimase oggetto di ripetuti provvedimenti restrittivi, e solo nel novembre 2010 riottenne la piena libertà.

Nel 2015 si svolsero le prime elezioni libere nel Paese. Il partito dissidente  ottenne oltre il 70% delle preferenze. Nel marzo 2016 fu nominato alla presidenza del Paese l’economista Htin Kyaw, anch’egli membro della NLD, primo civile eletto dopo 54 anni di dittature militari e braccio destro di Aung San Suu Kyi.

Htin Kyaw assegnò a Aung San Suu Kyi  la carica di ministro degli Esteri, e dal mese successivo assunse  anche quella di consigliere di Stato.

Nel novembre 2020 conquistò nuovamente la maggioranza dei seggi in Parlamento, ma nel febbraio 2021 l’esercito birmano fece un colpo di stato e incarcerò Aung San Suu Kyi.

Colpo di stato in Birmania

Il 1 febbraio 2021, giorno in cui il Parlamento birmano avrebbe prestato giuramento, l’esercito del Myanmar prese il potere e dichiarò   lo stato di emergenza per un anno per indagare sulle presunte frodi elettorali. Da allora l’esercito birmano ha instaurato una dittatura militare sanguinaria, che reprime ogni forma di libertà.

I militari sin da subito contestarono la vittoria schiacciante  del LND con il pretesto della regolarità dell’elezioni, sostenendo la presenza di brogli a favore del premio Nobel Aung San Suu Kyi.

Dopo la presa del potere del regime militare, migliaia di manifestanti scesero nelle piazze, ma i militari iniziarono una violenta repressione.

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La risoluzione del Consiglio di sicurezza 

Il 22 dicembre 2022 il  Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha adottato  una risoluzione che chiede la cessazione della violenza in Myanmar e sollecita il rilascio dei prigionieri politici da parte del regime militare.

La risoluzione, inizialmente proposta dal Regno Unito, chiedeva anche un allentamento delle tensioni in Myanmar e  il sostegno delle Nazioni Unite a un processo di pace attuato dall’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN).

L’India, membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, si è astenuta insieme ai membri permanenti Russia e Cina. Già nel 2007, entrambi i Paesi posero il veto a un progetto di risoluzione che avrebbe sostenuto misure per garantire le libertà democratiche e liberare i prigionieri politici nel Paese.

I critici hanno denunciato l’insufficienza della risoluzione, chiedendo un’azione più forte contro la giunta da parte della comunità internazionale. Khin Ohmar, presidente dell’organizzazione pro-democrazia Progressive Voice, ha espresso forte disappunto per l’incapacità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di impegnarsi in misure più sostanziali contro le atrocità del regime del Myanmar.

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Immagine di copertina: Cnn
Fonti: Treccani.it

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