A distanza di due settimane dal naufragio di Cutro, domenica 12 marzo altre 30 persone sono disperse e 17 persone sono state salvate nel Mediterraneo dopo che una barca su cui viaggiavano dalla Libia si è capovolta a causa del maltempo.
Sea Watch ha fatto una ricostruzione sull’accaduto, riprendendo tutte le comunicazioni che si sono susseguite in quelle ore tra Seabird, i mercantili, il centro di coordinamento italiano e libico.
La ricostruzione
Sabato 11 marzo alle ore 01:28 Alarm Phone informa le autorità di una barca in pericolo. La mattina dopo, alle 9:30, la Seabird avvista l’imbarcazione ed effettua una chiamata di emergenza.
Poco dopo il mercantile Basilis L risponde e si dirige verso l’imbarcazione. Seabird richiama il mercantile che risponde di essere stato istruito dalla Mrcc Rome nel seguire le istruzioni della guardia costiera libica.
Alle 11:10 Sea Watch a terra chiama il Joint Resque Coordination Center libico che risponde di essere a conoscenza della barca, ma non disponendo di motovedette non può soccorrere.
Alle 16:06 Sea Watch informa il centro di coordinamento italiano per comunicare che il centro libico non dispone di motovedette e pertanto non può soccorrere. Viene quindi chiesto di coordinare le operazione, ma l’ufficiale italiano chiude la chiamata.
Domenica 12 marzo, dopo una nottata in balia delle onde, il barchino viene soccorso dal mercantile. Le onde sono alte, la barca si ribalta. Vengono portate in salvo 17 persone, le altre 30 sono annegate.
Mentre le autorità si rimbalzano le responsabilità, a solo 2 settimane dalla strage di Cutro, 30 persone annegano nel Mediterraneo. La nostra ricostruzione con gli audio delle comunicazioni tra #Seabird, i mercantili vicini al barchino, i centri di coordinamento libico e italiano pic.twitter.com/CL3TrOobTZ
— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) March 13, 2023
La conferma della Guardia Costiera
La Guardia Costiera italiana ha confermato quanto accaduto, ma ha precisato che «l’intervento di soccorso è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità SAR italiana, registrando l’inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area». Per le associazioni e Ong non è sufficiente per sollevare l’Italia dalle sue responsabilità.
Cosa dice la Convenzione di Amburgo del 1979
Come scrive Asgi, la Convenzione di Amburgo obbliga ogni Stato interessato da chiamate di soccorso a coordinare anche unità navali non nazionali che si trovano nell’area senonché ad occuparsi anche dello sbarco delle persone salvate.
Infatti nella sezione Faq della Guardia Costiera, è spiegato che ” qualora lo Stato competente per quella area SAR non assuma il coordinamento delle operazioni di soccorso, tali operazioni vengono coordinate dall’Autorità nazionale SAR che, per prima, ne ha avuto notizia ed è in grado di fornire la migliore assistenza possibile.” Questo significa che è un dovere giuridico soccorrere chiunque sia in pericolo anche fuori dall’area d’intervento.
Inoltre, specifica Asgi, la zona Sar libica è fittizia, tanto che le forze libiche non intervengono se non per riportare le persone nei luoghi di detenzione.