Una parte dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbe essere destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d’arma a disposizione dello strumento militare. Si tratterebbe di un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che Rete Italiana Pace Disarmo rigetta e denuncia.
Nella bozza precedente del PNRR l’ambito militare veniva trattato in modo marginale, ovvero solo per gli aspetti secondari come l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare
Ad aprire la possibilità di destinare ulteriori risorse europee all’industria delle armi è stato il Parlamento, in particolare con due relazioni approvate all’unanimità.
Le relazioni alla Camera e al Senato
Nel testo approvato alla Camera, la Commissione raccomanda di “rafforzare la capacità della difesa cibernetica e incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare.”
Nel testo del Senato si raccomanda di dare piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a “sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare; di promuovere una visione organica del settore Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione
con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca, al fine di
sviluppare la promozione del sistema Paese.”.
L’industria militare non conosce crisi, anche in tempi di pandemia
Rete Italiana Pace e Disarmo ricorda che il comparto militare riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.
Il governo italiano nel 2020, l’anno dell’inizio della pandemia, ha impiegato 26 miliardi di euro per le spese militari mentre il Paese si trovava senza mascherine, terapie intensive, respiratori e con posti letto ridotti.
La sanità italiana, negli ultimi dieci anni, ha avuto un decremento di 37 miliardi di euro. La spesa sanitaria negli ultimi anni si è ridotta dal 7% del Pil al 6,5, mentre la spesa militare è cresciuta dall’1,25% del 2006 all’1,43% per il 2020, pari a 26 miliardi. Tutto questo a discapito del diritto alla salute (artt. 32 Costituzione).
In Italia ci sono 231 fabbriche di armi comuni e 334 aziende, iscritte regolarmente nel registro delle imprese a produzione militare. Invece in tutta Italia c’è solo un’azienda che produce ventilatori polmonari, per il resto quasi tutto importiamo dall’estero.
Per Vignarca di Rete Italia Pace e Disarmo la ripresa non si fa solo con l’industria militare. Inoltre, precisa a TPI, che il fatturato del settore militare è meno dell’1% del Pil, l’export militare del 0,7% , mentre gli occupati diretti nel settore sono lo 0,21 %.
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