“La condanna odierna per Justyna Wydrzyńska è un esempio della repressione contro le attiviste in Polonia. Le donne e le ragazze nel nostro Paese pagheranno un prezzo pesante per aver difeso i diritti riproduttivi”, ha dichiarato Agnes Callamard di Amnesty International.
“Questo caso – in Polonia, dove l’aborto è quasi del tutto vietato – costituisce un pericoloso precedente e mostra un quadro tragico delle conseguenze delle leggi così restrittive”, ha aggiunto Agnès Callamard.
Abortion activist Justyna Wydrzyńska has been found guilty of helping a pregnant woman to access abortion pills in Poland. The conviction must be overturned #jakjustyna #IAmJustyna https://t.co/LgHyUj1Ph3 https://t.co/zRa5yH6GPw pic.twitter.com/S3HY0zLP7V
— Amnesty EU (@AmnestyEU) March 14, 2023
“Justyna non dovrebbe essere assicurata alla giustizia perché quello che ha fatto non dovrebbe mai essere considerato un crimine. Sostenendo una donna che ha chiesto aiuto, Justyna ha mostrato compassione. Difendendo il diritto all’aborto sicuro in Polonia, Justyna ha mostrato coraggio. La sentenza odierna non mostra né l’uno né l’altro. La condanna deve essere annullata”, ha aggiunto Anna Błaszczak-Banasiak.
Il processo
Un anno fa, era iniziato in Polonia il primo processo in Europa nei confronti dell’attivista Justyna Wydrzynska accusata di“aver prestato aiuto ad abortire” e di “possesso non autorizzato di medicinali allo scopo di immetterli nel mercato”.
L’11 gennaio 2023 si è svolta la quarta udienza presso il tribunale distrettuale del distretto Praga di Varsavia. Wydrzynska è stata sostenuta da molti circoli e istituzioni in Polonia e all’estero. Una lettera in sua difesa è stata scritta da quattro relatori speciali delle Nazioni Unite sui diritti umani e un membro di Renew Europe, un partito del Parlamento europeo.
La legge anti-aborto
In Polonia è in vigore la legge che vieta l’aborto anche in casi di malformazioni gravi del feto. Da allora oltre 1000 donne si sono rivolte alla Corte europea dei diritti umani, sostenendo che la legislazione polacca causa gravi danni alle donne e viola i loro diritti alla riservatezza e alla libertà.
Amnesty International e altre otto organizzazioni si sono iscritte come terze parti alle cause avviate di fronte alla Corte europea dei diritti umani con l’obiettivo di fornire prove e analisi basate sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla legislazione europea e sulle linee-guida dell’Organizzazione mondiale della sanità.
A gennaio 2021 una donna di 37 anni, incinta, è deceduta dopo aver portato in grembo un feto morto per una settimana. Agnieszka ha lasciato un marito e tre figli. Per i familiari i medici l’hanno costretta a portare in grembo un feto morto, perchè temevano di mettere in pericolo il gemello. Ma poco dopo è morto anche il secondo feto. Dopo la rimozione dei due feti morti, le condizioni della donna si sono aggravate fino a giungere al decesso. L’ospedale si è difeso dichiarando che, dopo la morte del primo feto, si è adottato un approccio attendista perchè c’era la possibilità di salvare il secondo gemello.
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