Ex Ilva, le proteste degli attivisti e delle attiviste di Cornigliano che portarono alla chiusura dell’area a caldo

Negli anni 90 la popolazione di Cornigliano, un quartiere di Genova, si  trovava unita nel chiedere il rispetto del diritto alla salute e al lavoro. Dopo 20 anni di proteste, lotte e confronti, nel 2005 l’altoforno 2 fu spento. Le istituzioni di allora  si mostrarono molto sensibili e attenti alle legittime proteste della popolazione, stanca di subire le conseguenze di un’ industria che impattava fortemente sul territorio, come accertato da molteplici bollettini e  studi epidemiologi.

La nascita dello stabilimento di Cornigliano

I primi insediamenti furono lo Stabilimento Delta, le Officine di riparazione navale Savoia e  l’acciaieria Ansaldo di Campi. Nel settembre del 1938 iniziarono i lavori per la costruzione di un grande impianto costiero a ciclo integrale.

La scelta cadde su Cornigliano per l’accesso al mare e per la vicinanza allo stabilimento Siac-Ansaldo di Campi, cui era stato affidato il compito di progettare e costruire l’impianto sulla base della consulenza della tedesca Gutehoffnungshuette e che avrebbe dovuto laminare l’acciaio prodotto nel nuovo stabilimento.

L’impianto fu terminato nel 1942, ma non entrò mai in funzione perchè, dopo l’armistizio del 43, i tedeschi lo smontarono e lo portarono in Germania.

Nel secondo dopoguerra, fu chiamato Oscar Sinigaglia alla presidenza della Finsider, dove gettò le basi  per riorganizzare la siderurgia italiana con il cosiddetto “Piano Sinigaglia”, basato sulla ricostruzione dello stabilimento di Cornigliano.

Nel 1953 lo stabilimento entrò in funzione. Originariamente era costituito da 2 altoforni, una cokeria, un’acciaieria e un treno di laminazione a caldo. Successivamente fu potenziato con un terzo altoforno, un laminatoio a freddo e un reparto di zincatura. Negli anni lo stabilimento raggiunse una capacità produttiva di circa 2 milioni di tonnellate, e circa  7.000 occupati. In quegli anni il quartiere raggiunse circa 30, 000 mila abitanti.

Negli anni 80 in seguito alle privatizzazioni,  lo stabilimento fu venduto alla Cogea (Società Consorzio Genovese Acciaio), costituita dal 67% dai Riva e Lucchini e dal 33% dai Finsider. Tra  il 1988 e il 1995, i Riva acquisirono tutto lo stabilimento di Cornigliano e di Taranto.

Nel quartiere già negli anni sessanta si resero conto che l’aria era diventata irrespirabile. Nel 1965 si svolse il primo sciopero e l’azienda cercò di mettere dei filtri. Ma la situazione continuava a peggiorare.

Le donne di Cornigliano

I monitoraggi dell’aria che venivano effettuati nel quartiere Cornigliano registravano elevatissime concentrazioni di inquinanti. Non solo, gli studi di Legambiente dimostrarono che l’incidenza dei tumori nel quartiere era superiore rispetto alla città. Le donne che si incrociavano al mercato e scambiavano le proprie esperienze, concordarono sul fatto che quel mostro andava fermato.
Il 28 agosto 1985 le donne munite di pentole e coperchi bloccarono via Cornigliano. Da allora nacque il Comitato Salute e Ambiente. L’idea di coniugare il diritto al lavoro e alla salute fu accolta e appoggiata da don Giacomo Pala, storico parroco del quartiere, dall’allora assessore regionale all’Urbanistica Ugo Signorini e dal  sindacalista carismatico e scomodo come Franco Sartori, responsabile Cgil del Ponente.

Negli anni novanta la Magistratura, su spinta dei dati inoppugnabili dei comitati e delle associazioni, iniziò a muoversi attraverso diffide e prescrizioni.

L’accordo di Programma inapplicato

Nel 1999  fu firmato il primo Accordo di Programma, che prevedeva la chiusura entro un termine stabilito dell’area a caldo, con bonifiche e riqualificazione delle aree dismesse.
Il salvataggio dell’occupazione e i prepensionamenti vennero affidati al piano industriale che prevedeva l’implementazione dell’area a freddo e la costruzione di un forno  elettrico, in sostituzione del vecchio ciclo a caldo. Mentre nella fase di transizione i lavoratori degli impianti avrebbero usufruito de gli ammortizzatori. Ma il piano fu inapplicato.

Lo spegnimento dell’area a caldo

La Legge n 448 del 2001 stabiliva la chiusura definitiva di tutte le lavorazioni a caldo e la sdemanializzazione delle aree appartenenti alle Autorità Portuali, concesse alla Regione Liguria, con la garanzia di continuità occupazionale.

Nel 2002 la Magistratura chiuse la cokeria, mentre il progetto del forno elettrico fu bocciato dal ministero dell’Ambiente per il negativo impatto ambientale.

L’anno dopo, alla Società per Cornigliano Spa, interamente pubblica, fu assegnato il compito di bonificare e di recuperare le aree dismesse.

Il 29 luglio del 2005, dopo l’ultima colata, l’altoforno fu fermato e gran parte della produzione venne spostata a Taranto. Con una firma dell’atto modificativo dell’Accordo di Programma del 1999, l’area a caldo fu definitivamente chiusa. 

Iniziarono le bonifiche con l’abbattimento dei gasometri e dei camini. Genova sembrava che avesse superato la contrapposizione tra lavoro e salute. In realtà l’ex Ilva non completò gli investimenti e gli occupati riassorbiti furono pochi.

Genova tutt’oggi soffre delle stesse problematiche occupazionali e sociali che vive lo stabilimento di Taranto. Solo che Cornigliano non ha più l’area a caldo, fortemente impattante sull’ambiente e sulla salute, mentre Taranto continua ad averla con relative conseguenze.

Nel caso di Cornigliano, oltre all’attivismo di donne e uomini del territorio, c’è stato anche il supporto  delle istituzioni e dei sindacati, quello che è mancato a Taranto e ai suoi cittadini. 

Fonti

Società Per Cornigliano 

Cornigliano, così le donne hanno risolto l’eterno scontro tra ambiente e lavoro

Ilva di Genova: vent’anni di patti non rispettati

Immagine di copertina: www.percornigliano.it

 

Condividi