“Qui ci sono ebrei”: la scritta antisemita apparsa sulla porta della casa di una deportata politica

A pochi giorni dalla giornata della Memoria, nella notte tra il 23 e 24 gennaio,  a Mondovì sulla porta della casa di Lidia Beccaria Rolfi, partigiana e deportata a Ravensbruck nel 1944, è apparsa questa scritta antisemita “Qui ci sono ebrei”
Il quella casa oggi abita il figlio, Aldo Rolfi, che aveva ricordato la madre morta nel 1996, su un giornale locale.

 

Lidia Beccaria Rolfi

Lidia Beccaria Rolfi è nata a Mondovì l’8 Aprile del 1925 in una famiglia di contadini, ultima di cinque fratelli. Lidia fu l’unica che proseguì gli studi.

Con lo scoppio della guerra, i suoi due fratelli furono inviati al fronte russo, dove tornarono illesi. I loro racconti rivelarono le sofferenze dei soldati e le atrocità  dei tedeschi nei confronti della popolazione. 

A diciotto anni  divenne staffetta partigiana nella XV Brigata Garibaldi “Saluzzo”.Il 13 marzo  1944 fu arrestata dalla Guardia Nazionale Repubblicana dove fu torturata per un giorno e una notte, successivamente venne ceduta alla Gestapo e poi imprigionata per un breve periodo a Saluzzo per essere poi trasferita alle carceri Nuove di Torino.

Tra il 25 e 26 giugno venne caricata su un carro di bestiame insieme alle altre prigioniere. La sera del 30 giugno il treno si fermò alla stazione di Furstenberg, nel Meckleburgo.  Lidia insieme alle sue 13 compagne entrarono nel campo di concentramento di Ravensbruck, l’unico lager nazista per sole donne. 

Il 30 aprile 1945 i russi liberarono le prigioniere e le affidarono agli americani. Ma da quel momento iniziava un altro momento di sofferenza per Lidia e le prigioniere. Gli americani e gli inglesi si dimostrarono ostili nei confronti delle deportate politiche, abbandonandole a se stesse. 

Ritornata in Patria, viveva isolata e le fu negato il diritto di insegnare. Quando riprese l’insegnamento veniva vista con una certa diffidenza e controllata dalle autorità scolastiche per il suo passato da partigiana e deportata. 

Nonostante i segni della prigionia, dopo il conseguimento della laurea, Lidia iniziò a raccontare nelle scuole la sua esperienza. Ed è grazie a lei se oggi conosciamo la realtà di Ravensbruck  e il destino di migliaia di donne deportate. 

 

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