La strage di Capaci

Il 23 maggio 1992 il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, vengono uccisi dalla mafia a Capaci, lungo l’autostrada che da Trapani porta a Palermo.
Dopo 57 giorni, il 19 luglio, in  via D’Amelio, vengono uccisi il giudice Paolo Borsellino e i poliziotti Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina.

Cosa Nostra pensa di aver vinto una guerra contro lo Stato, ma proprio da quegli eventi, inizia una nuova era. La società reagisce, scende in piazza per mostrare il proprio disprezzo per la mafia. Mentre lo Stato approva  le nuove leggi antimafia e impiega un numero importante di uomini e mezzi.

Il 23 maggio diventa la giornata della memoria, ma è anche l’emblema della rinascita dell’Italia. Infatti dal 93 la fondazione Falcone, lo Stato, le scuole e le varie associazioni ricordano il sacrificio di Falcone con una serie di manifestazioni, cortei e convegni.

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio 1939. Il padre, Arturo, è il direttore del Laboratorio chimico provinciale. La madre, Luisa Bentivegna è casalinga.

Dopo un’esperienza all’Accademia Navale, Giovanni si iscrive a Giurisprudenza, sapendo che il suo futuro sarà in magistratura.

Nel 1962 incontra Rita e se ne innamora. Due anni dopo, mentre sostiene il concorso da magistrato, decidono di sposarsi.

Nel 1965 Giovanni ottiene il primo incarico come Pretore a Lentini, dove si ferma per due anni.

Dopo due anni viene trasferito a Trapani, la città in cui inizia la sua storia professionale Ed è proprio li che avviene il suo primo incontro con i clan e con il capomafia, Massimo Licari.

Nel 79 Falcone arriva a Palazzo di Giustizia di Palermo, ma la sua attività coincide con un momento molto grave della Città, con l’uccisione del giudice Cesare Terranova.

Il processo a Rosario Spatola

Falcone inizia a leggere le carte sull’italo-americano Rosario Spatola e  scopre di essersi imbattuto in un’inchiesta che riguarda la più potente associazione criminale, che controlla in quegli anni il commercio mondiale della droga.  Il magistrato si rende conto che si trova dinanzi a una realtà di estrema pericolosità, vista la scia di sangue partita dagli interni di Cosa Nostra, per arrivare ai servitori dello Stato, come il vice-questore Boris Giuliano, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il procuratore Gaetano Costa.

Falcone non si arrende, e va avanti. Introduce un metodo investigativo che rivoluziona la lotta contro Cosa Nostra. Estende le sue ricerche alla situazione patrimoniale, fino ad allora poco esplorata, e supera il segreto bancario, attraverso la collaborazione degli istituti di credito e finanziarie nazionali ed estere. Quel metodo però lo porta ad esporsi ulteriormente, tanto che nel 1980 gli viene affidata la scorta.

Grazie alle indagini, il processo Spatola si conclude con condanne esemplari. È il primo duro colpo all’invincibilità di Cosa nostra.

La risposta mafiosa non si fa attendere: il 29 luglio 1983 un’autobomba massacra Chinnici insieme alla scorta e al portiere della sua casa in via Pipitone. Le immagini di “Palermo come Beirut”, il palazzo di Chinnici devastati, fanno il giro del mondo. Palermo viene nuovamente ferita, e la gente affida a Falcone le paure e la speranza del riscatto.

Il pool antimafia

All’indomani dell’uccisione di Chinnini, nasce il pool antimafia, la squadra che affronta Cosa Nostra come un’organizzazione verticistica. Il risultato più importante dell’attività del pool, composto da Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, è il maxi-processo.

Alla fine del 1984 Falcone ottiene dal Canada le prove che portano all’arresto di Vito Ciancimino, con l’accusa di associazione mafiosa e di esportazione di capitali all’estero. Dopo qualche giorno,  vengono arrestati per mafia anche gli intoccabili esattori di Palermo, Nino ed Ignazio Salvo.

Mentre le indagini vanno avanti, il 28 luglio 1985, la mafia uccide il commissario Beppe Montana, amico e braccio destro di Cassarà. Dopo qualche giorno, uccidono  Ninni Cassarà.

Quando Caponetto viene informato che dal carcere è partito l’ordine di uccidere Falcone e il collega Borsellino, fa trasferire immediatamente entrambi all’Asinara, un’isola sperduta della Sardegna che ospita un carcere di sicurezza. Dopo un mese, i due magistrati tornano a Palermo per prendere alcune carte necessarie per concludere l’ordinanza di sentenza rinvio. Dopo un pò di tempo, viene recapitato dallo Stato il pagamento del soggiorno sull’isola: 415mila lire.

Il maxiprocesso

Il 10 febbraio 1986 inizia il primo processo a Cosa Nostra, con 457 imputati e il capo di Cosa Nostra dietro una sbarra.

Dopo quasi due anni, il 16 dicembre 1987, arriva la sentenza: ai 339 imputati vengono inflitte 19 ergastoli e 2665 anni di carcere. Palermo e l’Italia scoprono che la mafia non è imbattibile.

Ma la reazione al grande successo del maxi processo non si fa attendere. Dopo che Caponetto va in pensione, ci si aspetta che quel posto lo occupi Falcone. Il Consiglio Superiore della Magistratura non la pensa cosi. Infatti, nomina alla guida dell’ufficio istruzione, Antonio Meli, un magistrato che non condivide il metodo Falcone e smantella il pool antimafia. Meli nega anche il principio cardine del maxiprocesso, ovvero la struttura unitaria di Cosa Nostra, e assecondo la tesi  delle bande criminali.

La congiura del “Corvo” e l’attentato

Nel 1989 Falcone viene accusato  di aver fatto ritornare in Italia il pentito Salvatore Contorno, esponente della mafia perdente e sconfitta dai corleonesi di Totò Riina, e di averlo coperto nel progetto di eliminazione dei capimafia nemici usciti vincitori dalla guerra tra clan. Si tratta di falsità espresse in lettere anonime, passate alla storia come la congiura del “Corvo”.

Il 20 giugno 1989 Falcone sfugge  a un attentato che fallisce I contorni dell’accaduto non sono mai stati chiariti. Il giudice parla di una manovra ideata da menti “raffinatissime”, atte a dar credito alle lettere anonime.

Dopo l’attentato, grazie all’interessamento diretto del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, Falcone viene nominato dal Consiglio superiore della Magistratura procuratore aggiunto di Palermo. Ma il “Corvo” continua la sua azione di discredito. Nonostante tutto Falcone va avanti. Nel 1988 collabora con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, nell’operazione “Iron Tower”, inchiesta che aveva disarticolato due famiglie mafiose coinvolte nel traffico di eroina, quelle dei Gambino e degli Inzerillo. Nel gennaio ’90 coordina un’indagine che porta all’arresto di 14 trafficanti colombiani e siciliani.

Il clima ostile al Palazzo di Giustizia di Palermo si fa sempre più pesante, tanto che Falcone si sente sempre più isolato. Così decide di accettare l’invito del ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero dove prende servizio nel novembre del 1991.

Falcone al Ministero di Giustizia

Martelli vuole dare alle sue politiche una connotazione anti mafiosa. Falcone comprende che il suo aiuto può essere determinante. Cosi fa in modo di semplificare e razionalizzare il rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, istituendo un coordinamento tra le Procure. Decide di istituire le Procure distrettuali, con esclusive competenze di contrasto alla mafia e direttamente dipendenti dai capi degli uffici. Inoltre, per garantire la circolazione delle informazioni in tutto il Paese, e un’azione coordinata, suggerisce con successo la Superprocura. Vengono gettate le basi per la nascita di norme e leggi che regolano la gestione dei collaboratori di giustizia. Al fine di impedire la comunicazione tra i boss in carcere, viene istituito il carcere duro.

Il 30 gennaio 1992, arriva la sentenza storica: la Cassazione riconosce la sentenza di primo grado del maxi processo. Vengono ripristinati gli ergastoli e il carcere duro per  boss mafiosi.

Dopo tutti questi colpi inferti, Falcone è consapevole di avere un conto aperto con la mafia e che prima o poi Cosa Nostra lo salderà.

La strage di Capaci

Il 23 maggio 1992 mentre Falcone e la moglie Francesca sono di ritorno da Roma, all’altezza dello svincolo di Capaci, una fortissima esplosione uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Il 19 luglio 1992, viene ucciso anche il collega Giovanni Borsellino. La loro morte paradossalmente segna la fine definitiva di Cosa Nostra. Ma nel contempo rappresenta anche un risorgimento civile che deve essere costantemente vivo, in quanto anti virus.

 

Fonte: www. fondazionefalcone.org 

Immagine di copertina: Vatican News

Condividi